martedì 20 luglio 2021

Also Known As Death

Che poi la mamma non ha ancora tolto il tuo spazzolino da dentro il bicchiere, penso che non lo farà mai, sono passati più di cinque mesi, già o appena, non lo so, anche i tuoi vestiti sono ancora tutti ordinati all’interno dell’armadio, le camicie a quadri, le giacche, i pantaloni comprati al mercato, non ho aperto l’anta, non mi va, ma immagino quale odore ci sia, quello che sentivo dalla nonna quando ero bambino nella cameretta con gli abiti del nonno, abiti che nessuno avrebbe mai più indossato, nel frattempo qui le cose vanno così: non vanno, quel virus di cui in fondo non avevi molta paura non se ne è andato ed è sempre dentro di noi, mi ricordo come portavi la mascherina, eri buffo, ti si appannavano gli occhiali, è anche cambiato il Governo, adesso è un tipico carrozzone italico dove c’è posto per tutti, e, di recente, abbiamo anche vinto il campionato europeo di calcio, ma forse tutte queste cose le sai ed è inutile che te le ripeta. Ti ho sognato qualche volta, non troppe, in un sogno ritornavi ed eri molto più vecchio e molto più stanco di quando te ne eri andato, tutto sporco di terra e con lo sguardo omerico di chi ha visto parecchio, e noi eravamo felici, ti prendevamo sottobraccio e ti portavamo in cucina, al tuo posto, di fronte alla televisione. Poco tempo fa ho letto un libro in cui l’autore diceva una cosa molto bella: che quando sogniamo qualcuno che non c’è più quello è l’aldilà, io quando ti sogno ti riconfiguro nella mia memoria, mi succede anche per le fotografie, se me ne capita una in cui ci sei, se ti rivedo dietro lo schermo di un cellulare, allora mi dico ok, è lui, lo è stato e lo sarà, è da qualche parte, in un altrove, cammina per i boschi tanto amati, osserva i rilievi delle montagne, le punte dei cucuzzoli, respira un’aria cristallina e ascolta dei canti che solo lì si possono sentire. Ma la verità, dopotutto, è che la tua morte è stata una cosa per me immensamente grande che tutt’ora non riesco a capire e allo stesso tempo è stato un evento minuscolo, infinitesimale, perché il mondo, comunque, ha continuato ad andare avanti fregandosene del dolore che mi e ci è esploso nel cuore. Mi spaventa tanto il futuro e purtroppo non te l’ho mai detto, così come non ti ho mai detto un altro milione di cose, mi dispiace, spero ci potranno essere altre occasioni, altre possibilità, altre partite da vedere insieme nel buio della sala commentando le giocate dei calciatori in luoghi e spazi oltre quelli conosciuti. Ciò che forse più mi rattrista, chiamiamolo il Mio Grande Rimpianto, è che tu non mi abbia visto realizzato, ma neanche un pochino, sai, certe situazioni non si sono incastrate come avrebbero dovuto senza scordare che sono stati commessi da parte mia degli errori, ma credo che il passato non debba mai essere inteso come una colpa e allora non posso che guardare all’oggi, sebbene, con parecchio rammarico, devo confessare di aver perso fiducia in quelle nicchie in cui mi sono sempre rifugiato come il cinema o la letteratura, eh sì, è come se non fossero più sufficienti a colmare certi crepacci che si sono spalancati una mattina di febbraio con la telefonata dall’ospedale, ogni tanto però, se mi metto in silenzio e mi faccio piccolo piccolo nella mia stanza, nell’infinita quarantena solitaria, raggomitolato in me stesso con gli occhi chiusi e le cuffie, ho la sensazione che esista ancora un ordine e che ci sia ancora della luce, che la tua voce e i tuoi baffi grigioneri continuino ad esistere, così come la tua pelle che negli ultimi anni si era fatta così sottile... delicata, pendeva dagli avambracci se li alzavi, e prendendoti a braccetto sentivo sotto l’ascella il viavai del sangue che scorreva, con tremenda fatica, nel reticolo otturato del tuo sistema circolatorio. Spesso mi chiedo che senso abbia quest’eterna litania che non porta sorriso, non so se ti sei mai posto anche tu una domanda del genere, sei nato in un’altra epoca e l’hai vissuta come tutti gli altri hanno fatto, lavorando ogni fottuto giorno per noi e per la mamma, per permettere che adesso io possa scrivere queste cazzo di righe mentre ascolto le chitarre di ’sto Dan Caine, è poco, ed è una soddisfazione amara perché mi sembra di stringere della polvere che un tempo, giusto qualche mese fa, erano le tue mani, sono stato l’ultimo a toccarle prima che chiudessero per sempre, uscendo ho ancora in testa il rumore perforante dell’avvitatore che sigilla il coperchio e il profumo dolciastro e floreale che solitamente aleggia in quei posti. Che cosa avrai provato in quell’istante? Che ne è della coscienza in quel momento? Che cosa rimane dio santo? Che cosa, rimane... 
 

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