Che poi la mamma non ha
ancora tolto il tuo spazzolino da dentro il bicchiere, penso che non
lo farà mai, sono passati più di cinque mesi, già o appena, non lo
so, anche i tuoi vestiti sono ancora tutti ordinati all’interno
dell’armadio, le camicie a quadri, le giacche, i pantaloni comprati
al mercato, non ho aperto l’anta, non mi va, ma immagino quale
odore ci sia, quello che sentivo dalla nonna quando ero bambino nella
cameretta con gli abiti del nonno, abiti che nessuno avrebbe mai più
indossato, nel frattempo qui le cose vanno così: non vanno, quel
virus di cui in fondo non avevi molta paura non se ne è andato ed è
sempre dentro di noi, mi ricordo come portavi la mascherina, eri
buffo, ti si appannavano gli occhiali, è anche cambiato il Governo,
adesso è un tipico carrozzone italico dove c’è posto per tutti,
e, di recente, abbiamo anche vinto il campionato europeo di calcio,
ma forse tutte queste cose le sai ed è inutile che te le ripeta. Ti
ho sognato qualche volta, non troppe, in un sogno ritornavi ed eri
molto più vecchio e molto più stanco di quando te ne eri andato,
tutto sporco di terra e con lo sguardo omerico di chi ha visto
parecchio, e noi eravamo felici, ti prendevamo sottobraccio e ti
portavamo in cucina, al tuo posto, di fronte alla televisione. Poco
tempo fa ho letto un libro in cui l’autore diceva una cosa molto
bella: che quando sogniamo qualcuno che non c’è più quello è
l’aldilà, io quando ti sogno ti riconfiguro nella mia memoria, mi
succede anche per le fotografie, se me ne capita una in cui ci sei,
se ti rivedo dietro lo schermo di un cellulare, allora mi dico ok, è
lui, lo è stato e lo sarà, è da qualche parte, in un altrove,
cammina per i boschi tanto amati, osserva i rilievi delle montagne,
le punte dei cucuzzoli, respira un’aria cristallina e ascolta dei
canti che solo lì si possono sentire. Ma la verità, dopotutto, è
che la tua morte è stata una cosa per me immensamente grande che
tutt’ora non riesco a capire e allo stesso tempo è stato un evento
minuscolo, infinitesimale, perché il mondo, comunque, ha continuato
ad andare avanti fregandosene del dolore che mi e ci è esploso nel
cuore. Mi spaventa tanto il futuro e purtroppo non te l’ho mai
detto, così come non ti ho mai detto un altro milione di cose, mi
dispiace, spero ci potranno essere altre occasioni, altre
possibilità, altre partite da vedere insieme nel buio della sala
commentando le giocate dei calciatori in luoghi e spazi oltre quelli
conosciuti. Ciò che forse più mi rattrista, chiamiamolo il Mio
Grande Rimpianto, è che tu non mi abbia visto realizzato, ma neanche
un pochino, sai, certe situazioni non si sono incastrate come
avrebbero dovuto senza scordare che sono stati commessi da parte mia degli errori,
ma credo che il passato non debba mai essere inteso come una colpa e
allora non posso che guardare all’oggi, sebbene, con parecchio
rammarico, devo confessare di aver perso fiducia in quelle nicchie
in cui mi sono sempre rifugiato come il cinema o la letteratura, eh
sì, è come se non fossero più sufficienti a colmare certi crepacci
che si sono spalancati una mattina di febbraio con la telefonata
dall’ospedale, ogni tanto però, se mi metto in silenzio e mi
faccio piccolo piccolo nella mia stanza, nell’infinita quarantena
solitaria, raggomitolato in me stesso con gli occhi chiusi e le
cuffie, ho la sensazione che esista ancora un ordine e che ci sia
ancora della luce, che la tua voce e i tuoi baffi grigioneri
continuino ad esistere, così come la tua pelle che negli ultimi anni
si era fatta così sottile... delicata, pendeva dagli avambracci se
li alzavi, e prendendoti a braccetto sentivo sotto l’ascella il
viavai del sangue che scorreva, con tremenda fatica, nel reticolo
otturato del tuo sistema circolatorio. Spesso mi chiedo che senso
abbia quest’eterna litania che non porta sorriso, non so se ti sei
mai posto anche tu una domanda del genere, sei nato in un’altra
epoca e l’hai vissuta come tutti gli altri hanno fatto, lavorando
ogni fottuto giorno per noi e per la mamma, per permettere che adesso
io possa scrivere queste cazzo di righe mentre ascolto le chitarre di
’sto Dan Caine, è poco, ed è una soddisfazione amara perché mi
sembra di stringere della polvere che un tempo, giusto qualche mese fa, erano le tue mani,
sono stato l’ultimo a toccarle prima che chiudessero per sempre,
uscendo ho ancora in testa il rumore perforante dell’avvitatore che
sigilla il coperchio e il profumo dolciastro e floreale che
solitamente aleggia in quei posti. Che cosa avrai provato in
quell’istante? Che ne è della coscienza in quel momento? Che cosa
rimane dio santo? Che cosa, rimane...
martedì 20 luglio 2021
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