lunedì 5 luglio 2021

Ma

Prima di approcciare Ma (2015) ricordo il laconico commento di un qualche utente su un qualche sito straniero rimosso dalla mia memoria che lo definiva in stretta sintesi “una cagata hipster”, non so quanta ragione potesse avere il tizio in questione ma di fronte a certe manifestazioni al limite della tolleranza ci si può anche spazientire a volte, però prima di inveire a caso è bene rendere conto di ciò che è un punto fermo: Celia Rowlson-Hall, la regista, ed il suo one-woman-show lungo quasi novanta minuti. Celia ha sempre sfogato i suoi bisogni artistici attraverso la danza, e dopo essersi affermata come ballerina si è prestata al campo della coreografia collaborando con professionisti di rilievo come Alicia Keys e gli MGMT, tale aspetto legato alla dimensione del ballo si riversa in toto, o almeno per buona parte, in Ma che, essendo un film senza dialoghi, pone un particolare accento sulla configurazione del quadro oltre che ad uno studio del corpo all’interno di esso. Ci sono almeno due sequenze che scalzano (tra virgolette) il cinema per lasciare il posto ad intense performance attorial-danzanti (senza che vi sia musica, il che rende le cose più difficili da digerire), mi riferisco a quella in cui lei e lui si ritrovano nella stanza del motel a comportarsi come animali, e a quella che si svolge nel medesimo luogo dove la protagonista esaspera il proprio comportamento. Senza il filtro del trascorso lavorativo della Rowlson-Hall saremmo qui a lamentarci piuttosto seccati, così accade invece la possibilità di aprirsi ad una parca comprensione. Sono queste motivazioni valide (ossia un proseguimento concettuale di un percorso personale da un ambito all’altro) per non imprecare subito verso ciò che non si capisce? Io rispondo sottovoce di sì.

Perché poi è evidente che Ma la faccia fuori dal vaso, e non di poco, la scelta di affrontare la spiritualità aggiornandola in una traiettoria autoriale è un boomerang che torna violentemente indietro. Sulle polverose tracce di Twentynine Palms (2003) e con un bagaglio cinefilo che contempla più d’un surrealista europeo, la filmmaker propone una personalissima versione di Maria (interpretata da lei stessa) che vaga nel deserto americano. Arduo definirla una visione accattivante poiché l’impronta arty che la permea tocca quell’arroganza che segna la linea di demarcazione tra un Artista e chi vorrebbe esserlo, comunque nel procedere sfrontato verso lidi inintelligibili ci sono sporadici momenti che allertano l’attenzione figli di un’idea formale che sa sedurre i bisogni estetici dello spettatore, per ulteriori delucidazioni (ri)guardare lo stupro ai danni della donna (gran potenza nell’immagine delle pareti che crollano) o l’ossessione verso l’acqua scandita dalla sua negazione (non si rompono le acque, ma le sabbie), un accostamento la cui portata semantica non è univocamente traducibile e che, per dribblare affanni interpretativi, è meglio accogliere senza farsi troppe domande. Infatti credo che il punto fondamentale non sia tanto la decrittazione del manufatto quanto il grado di libertà che la cara Celia si prende, in altre parole: c’è un confine oltre il quale un artista non può spingersi per evitare di “prendere in giro” chi assiste?

Celia Rowlson-Hall è persona impegnata civilmente e molto attenta all’universo femminile, Ma potrebbe e dovrebbe essere un’opera che sottotestualmente si lega a ciò, del resto Maria è un archetipo della categoria e da lì non si scappa. Non semplice trovare chiari riscontri ma parrebbe che qui si parli di un tragitto formativo (formarsi al e nel mondo) che alla resa dei conti diventa trasformativo, dal femminino (una figura vessata e umiliata) al mascolino (l’obbligo della fellatio), status che le permette di valicare i territori aridi e approdare in una specie di casa celeste dove si dà vita ad un potenziale nuovo profeta. Il perché venga scelto di dare un cambio di marcia alla vicenda quando la ragazza indossa abiti maschili atteggiandosi da uomo è un mistero che sulla scia di quanto l’ha preceduto non si dipana. Al fitto e patinato enigma risponde sempre la presenza di Rowlson-Hall, àncora a cui si riconosce un’attitudine all’esibirsi da non sprecare, il suo leggero strabismo, la gracilità anatomica, una bellezza diafana e aliena ne accrescono l’impatto in video, a prescindere dall’apprezzamento o meno della pellicola le sembianze di una Madonna errante di tal fatta perdureranno.

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