Comunque, il caos che regna nella pellicola è l’esatta trasposizione del disordine che si sviluppa nel kolchoz, è un racconto in bilico tra la mitologia e la religione (figli che tradiscono padri che uccidono mogli che uccidono figli) collocato in una realtà dove l’unico mito e l’unico dio è l’ideale del socialismo. Chi fa le veci di Lenin in giro per la fangosa campagna diventa un punto di riferimento più importante dei legami consanguinei (ne è prova l’avvicinamento, leggi: adorazione, di Janis verso il carismatico uomo con il cappello) sicché dalla suddetta considerazione si può sviluppare il concetto che sostiene il lavoro della Pakalnina, ovvero la ricostruzione attraverso un singolo episodio (creduto vero, nei fatti meramente propagandistico) del potere che l’indottrinamento ha nei confronti degli esseri umani, perfino dei più piccoli e plausibilmente innocenti. Questo, sotto strati di peripezie e giravolte (narrative e non), è il nucleo di una questione che pur non arrivando ad universalizzanti verità c’è, vive, e muore, nella follia generale dell’umanità.
Il tasso di drammaticità, persistente e rafforzato dal rigore del bianco e nero, è stemperato da un taglio che razzola amabilmente in bizzarri territori (cfr. il bel commento su Quinlan [link] dove si riflette brevemente sulle potenzialità del grottesco), quasi comici (anzi: senza quasi), in contrapposizione all’apparato tragico inscenato. Coniugazione riuscita? Se non si è troppo intransigenti la risposta è affermativa, nel procedere pantagruelico le diramazioni verso un ulteriore registro non stonano troppo nell’impianto generale, e che la varietà sia un mantra della regista lo si capisce anche dalla metodologia tecnica utilizzata, parliamo di stratagemmi e soluzioni visive che arricchiscono la carica estetica di Ausma incrementandola fino a saturarla. Indubitabilmente sussiste una spinta espressiva ammirevole in cui si susseguono escamotage ottici da seria A, le trovate, tante, tantissime, che meritano più di uno sguardo (sul serio: fatelo!), restituiscono una vibrante energia in linea con quanto esplicitato, per banale gusto soggettivo non impazzisco più dietro ad una siffatta elaborazione della messa in scena, sarei però uno sconsiderato a non riconoscere i meriti legati ad uno sforzo artistico di mirabile sostanza. Un’ultima parola sul finale allegorico: chi saranno quelle galline che becchettano il letame sulla strada?
Nessun commento:
Posta un commento