Il titolo ci invita poi a riflettere su una specie di paradosso: quali sarebbero le “visioni di realtà”? È innegabile che non ci possa essere niente di più lontano da un concetto di reale quanto la struttura che Shirley esprime, l’evidenza dell’inscenamento ed il susseguirsi dei pannelli hopperiani sono il trionfo della finzione, del lavorio tecnico sulla materia, al contempo però l’opera racchiude in sé anche una decisa componente di verità. Non è semplice spiegarlo ma qui entrano in gioco le sensazioni che sottendono le tele di Hopper, l’oltre all’immagine, il silenzio e la solitudine degli americani qualunque, è una categoria di reale non convenzionale, ne convengo, tuttavia Deutsch coniugando le riflessioni della protagonista ai geometrici ambienti attua un’incursione che dribbla la falsificazione toccando porzioni di Storia (ogni stacco è un bollettino radio che ci aggiorna sulla situazione politica globale), e quindi di Realtà (bella la scelta di inserire un discorso di Martin Luther King). Sì, è ineluttabilmente un film patinato e narciso sebbene, credo, viste le intenzioni non poteva essere diverso da così, il risultato sarà forse più apprezzato dagli ammiratori di Hopper che dal cinefilo in cerca di alternative, resta comunque un esperimento con cui in fin dei conti val la pena misurarsi.
La gente non vuole la guerra
9 minuti fa
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