Tra la
Tsangari di The Capsule (2012)
e la Hadžihalilović di Evolution
(2015), Marie Grahtø Sørensen, che ovviamente guarda ancora da
lontano le suddette colleghe, si butta nel fantascientifico per
implementare il proprio discorso sull’universo adolescenziale già
affrontato nel 2012 con Daimi ma
per mezzo di un taglio più tendente alla fiaba dark. Teenland
(2014) si occupa, ma vedi un po’, di Teenland, uno spazio fisico
che è, senza eccedere in sovrainterpretazioni, anche un’area
metaforica che riproduce, esacerbandoli, i crismi della pubertà. I
ragazzini sono pericolosi, sono diversi, per questo vanno rinchiusi,
o, come forse vuole suggerirci la regista, sono loro a volersi
recintare in un mondo privato e inaccessibile (“eri solo una voce
nella mia testa”), fatto è che si delinea una mezz’oretta di
sci-fi con annesso sottotesto, se infatti prendiamo la sodale di
Sally, ruminatrice di Big Babol (il rosa predomina perché non
esistono maschi in carne ed ossa) e formidabile telepate, si nota
quale sia il peso specifico di tale unione (che potrebbe anche essere
letta come il congiungimento verso un altro lato del proprio sé): la
rivoluzione, il soverchiamento delle gerarchie, il fuoriuscire dalla
gabbia (ce lo dice anche il finale ad effetto nell’obitorio).
Marie Grahtø Sørensen che, lo si ricorda, è dell’84, conduce il tutto con uno sprint da pop-artist e la cura formale che ne risulta è sì e no gradevole, la scena onanistica in cui Sally raggiunge l’orgasmo raccontando un episodio del passato, sebbene non esattamente “nuova”, rimane per un po’ di tempo nella memoria. Non credo valga la pena sottolineare che comunque Teenland, al pari delle miriadi di cortometraggi che gemmano nei più svariati Festival del globo, è un prodotto circoscritto e limitato nella sua piccola portata semantica accompagnata da una discreta veste estetica che però si può rintracciare in buona parte dei videoclip dell’era contemporanea. Insomma, se non avete troppe pretese...
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