venerdì 29 gennaio 2016

Jitensha toiki

Del Sion Sono pre-trilogia del suicidio non si sa moltissimo (per fortuna un po’ di luce è stata fatta con la retrospettiva a lui dedicata in quel di Torino ’11) e perfino lo stesso regista giapponese affermava in un’intervista (non riesco più a rintracciarla, pardon) che in teoria la sua carriera doveva necessariamente essere intesa a partire da Suicide Club (2001) in avanti. Ma prima del film che lo rivelò per quello che è, c’è una carrellata di titoli su cui è doveroso porre più di uno sguardo, non foss’altro perché spesse volte negli esordi di un autore è facile (nonché piacevole) rintracciare sottoforma embrionale quel cinema che in futuro si manifesterà in maniera compiuta. E Jitensha toiki (1990), terzo lungometraggio uscito in concomitanza al trentesimo compleanno di Sono, è un calderone dove ribollono segnali inequivocabilmente sononiani: il primo di questi è l’introduzione autobiografica di Shiro, un tipico espediente narrativo che diventerà marchio di fabbrica del cineasta, la storia poi si concentra su una realtà prettamente giovanile (il campo d’azione è il limbo tra scuola e università) e si articola seguendo le pulsioni dei due protagonisti divisi tra amori scolastici (ciò ricorda Hazard, 2005), prospettive a breve termine e velleità cinematografiche. Nello sciorinare le personalità dei ragazzi, non senza un certo caos lontano parente della torrenzialità artistica a cui assisteremo attoniti, si nota un primitivo accenno sulla disidentificazione vissuta in prima persona dalla gioventù sullo schermo, le cause non sono ben chiare (mancano riferimenti espliciti alla società o alla famiglia [cardine assoluto di Sono], ma occhio alla collocazione geografica, un’anonima provincia il cui nome viene ripetuto di continuo) mentre al contrario gli effetti sono evidenti: per dire che si esiste bisogna salire sopra un tetto ed urlare il proprio nome o girare per la città con una bandiera che riporta la scritta “io”.

Il tasso di acerbità è comunque elevato e per cause evidenti inficia la riuscita dell’opera a cui manca un mastice capace di tenere i novantatre minuti di durata. Questo è davvero un sintomo di immaturità visto che Sono dimostrerà ampiamente di essere una penna talmente sostanziosa da strabordare nell’esagerazione senza perdere un briciolo di credibilità; qui non è che la trama sia asciutta o che si proceda per sottrazione, d’altronde la sola presenza di un film parallelo all’interno del film stesso schiude porticine piuttosto fertili, ed anche gli avvicendamenti categoriali (dalla commedia al dramma finale che ha un qualcosa della scena madre di Be Sure to Share, 2009) e le immancabili stramberie (genitori travestiti da orsi, copricapi mostruosi) garantiscono un’energia che a prescindere dai primordi registici pur avendo vent’anni in più sulle spalle non molla di un centimetro, il punto è che una mancata omogeneità (da intendere come costruzione sequenziale [e non] saldante) indebolisce il fervore di Sono limitato in una frammentarietà di eventi privi di raccordi (o magari è chi scrive a non averli colti), e da un tale andamento discontinuo si genera un oggettino che tra le altre cose non fa sicuramente del coinvolgimento il suo punto di forza, ma si sa, a Sion Sono gli si può perdonare tutto e Jitensha toiki o meno lui resta un peso massimo del cinema orientale.

6 commenti:

  1. ma hai ricominciato!!e non mi dici niente!!!!vergogna...finalmente un po' di rensioni da leggere....e se vuoi sentirre della musica..il martedì e giov alle 21,45 sono su radiosonora.it...il programma si chiama brazzzwave..se tiva,mi farebbe piacere..ora mi sa che ti scrivo una mail

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  2. Caro brazzz le cose stanno come avevo scritto qui: http://pensieriframmentati.blogspot.com/2015/09/come-gagarin.html
    In realtà in questi mesi ho timidamente guardato qualcosa e altrettanto timidamente ho cercato di scriverci. Mah. I tempi cambiano, le persone cambiano. Non sono più quello di un tempo :)

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  3. sì poi ho letto...ma in definitiva,come stai,caro amico?

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  4. Mi piace sempre la puntualità con cui arrivo in posti che non sono attivi come un tempo, peccato.

    Niente, per caso ho cliccato e ri-cliccato. M'ha fatto sorridere il nome del blog, una frase mi rincuorava parecchio - "mi piace chi toccato il fondo, continua a scavare nel profondo".

    Au revoir

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    1. Ecco -.- figura da babba, manca un pezzo di frase!

      Un tempo* una frase!

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  5. non ho mica capito quale sarebbe la frase mancante, ma va bene uguale :)

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