Dall’Islanda una
piccola storia di solitudine/i; prima di sbadigliare ed abbandonare
la lettura sappiate almeno che la regista Helena Stefánsdóttir
in questo Anna (2007) batte strade che sono, o almeno ci provano,
alternative: prendiamo la manciata di minuti iniziale: c’è
un’atmosfera strana nella cameretta di Anna, il suo risveglio si
aggira tra un’Amélie
sclerata e un Gilliam all’acqua di rose, poi la vediamo accendere
svariati carillon disseminati per la stanza, la melodia che ne
consegue non è per nulla armoniosa e indica un andamento fuori (dal)
tempo che si dimostrerà sintomo, quasi patologico, della Nostra.
Prova ne sono le chiavi appese ai muri (ma quante porte dovrebbero
esserci?) e la “colazione invisibile” da bambina che gioca con le
bambole. Insomma, Anna non sembra avere il reparto rotelle come
effettivamente dovrebbe essere, e la Stefansdottir
si prodiga nel ricordarcelo attraverso inquadrature sghembe che
ritraggono la protagonista di rosso vestita in comportamenti alquanto
bizzarri. Su questo punto permane il dubbio se le imitazioni di Anna
dei passanti che incontra per la strada (un bacio schioccato con la
mano, uno starnuto, un pianto isterico: tutto ripetuto in sequenza
fino all’acme della follia) siano aride sciocchezzuole messe lì
per disorientare oppure rappresentino aperture al possibile, del tipo
che Anna, così sola e desiderosa di avere una persona al suo fianco
(la sua mano che sfiora la porta di Adam), sia talmente sensibile
alla vicinanza umana che senza volerlo ne imita automaticamente i
gesti, il che rappresenta al contempo una condanna che la spinge
all’isolamento per evitare di apparire in pubblico una schizzata da
internare.
Supposizioni.
Il cui scioglimento non è importante, almeno non per chi scrive, in
quanto è più interessante notare di come a monte Anna
sia in grado di generare delle ipotesi sulla propria natura,
un’indeterminatezza che fa bene, che cancella la didascalia ripresa
invece nel finale non brillantassimo: l’immagine frontale dei due
vicini di casa in equilibrio sul cornicione è propria volta a
spiegare la
condizione di Anna e Adam, una facilitazione per apprendere
informazioni già recepite: che la ragazza fosse sul ciglio del
dirupo era evidente, il riepilogo conclusivo ci sta senza
entusiasmare, la risata che li salverà anche.
Piesse: alcune sinossi in
Rete affermano che la donna sia affetta dalla sindrome di Tourette,
ma nel film non viene fatto alcun riferimento esplicito a questo
disordine neurologico.
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