Del Sion Sono
pre-trilogia del suicidio non si sa moltissimo (per fortuna un po’
di luce è stata fatta con la retrospettiva a lui dedicata in
quel di Torino ’11) e perfino lo stesso regista giapponese
affermava in un’intervista (non riesco più a rintracciarla,
pardon) che in teoria la sua carriera doveva necessariamente essere
intesa a partire da Suicide Club (2001) in avanti. Ma prima
del film che lo rivelò per quello che è, c’è
una carrellata di titoli su cui è doveroso porre più di
uno sguardo, non foss’altro perché spesse volte negli esordi
di un autore è facile (nonché piacevole) rintracciare
sottoforma embrionale quel cinema che in futuro si manifesterà
in maniera compiuta. E Jitensha toiki
(1990), terzo lungometraggio uscito in concomitanza al trentesimo
compleanno di Sono, è un calderone dove ribollono segnali
inequivocabilmente sononiani: il primo di questi è
l’introduzione autobiografica di Shiro, un tipico espediente
narrativo che diventerà marchio di fabbrica del cineasta, la
storia poi si concentra su una realtà prettamente giovanile
(il campo d’azione è il limbo tra scuola e università)
e si articola seguendo le pulsioni dei due protagonisti divisi tra
amori scolastici (ciò ricorda Hazard, 2005),
prospettive a breve termine e velleità cinematografiche. Nello
sciorinare le personalità dei ragazzi, non senza un certo caos
lontano parente della torrenzialità artistica a cui
assisteremo attoniti, si nota un primitivo accenno sulla
disidentificazione vissuta in prima persona dalla gioventù
sullo schermo, le cause non sono ben chiare (mancano riferimenti
espliciti alla società o alla famiglia [cardine assoluto di
Sono], ma occhio alla collocazione geografica, un’anonima provincia
il cui nome viene ripetuto di continuo) mentre al contrario gli
effetti sono evidenti: per dire che si esiste bisogna salire sopra un
tetto ed urlare il proprio nome o girare per la città con una
bandiera che riporta la scritta “io”.
Il tasso di acerbità
è comunque elevato e per cause evidenti inficia la riuscita
dell’opera a cui manca un mastice capace di tenere i novantatre
minuti di durata. Questo è davvero un sintomo di immaturità
visto che Sono dimostrerà ampiamente di essere una penna
talmente sostanziosa da strabordare nell’esagerazione senza perdere
un briciolo di credibilità; qui non è che la trama sia
asciutta o che si proceda per sottrazione, d’altronde la sola
presenza di un film parallelo all’interno del film stesso schiude
porticine piuttosto fertili, ed anche gli avvicendamenti categoriali
(dalla commedia al dramma finale che ha un qualcosa della scena madre
di Be Sure to Share, 2009) e le immancabili stramberie
(genitori travestiti da orsi, copricapi mostruosi) garantiscono
un’energia che a prescindere dai primordi registici pur avendo
vent’anni in più sulle spalle non molla di un centimetro, il
punto è che una mancata omogeneità (da intendere come
costruzione sequenziale [e non] saldante) indebolisce il fervore di
Sono limitato in una frammentarietà di eventi privi di
raccordi (o magari è chi scrive a non averli colti), e da un
tale andamento discontinuo si genera un oggettino che tra le altre
cose non fa sicuramente del coinvolgimento il suo punto di forza, ma
si sa, a Sion Sono gli si può perdonare tutto e Jitensha
toiki o meno lui resta un peso massimo del cinema orientale.
ma hai ricominciato!!e non mi dici niente!!!!vergogna...finalmente un po' di rensioni da leggere....e se vuoi sentirre della musica..il martedì e giov alle 21,45 sono su radiosonora.it...il programma si chiama brazzzwave..se tiva,mi farebbe piacere..ora mi sa che ti scrivo una mail
RispondiEliminaCaro brazzz le cose stanno come avevo scritto qui: http://pensieriframmentati.blogspot.com/2015/09/come-gagarin.html
RispondiEliminaIn realtà in questi mesi ho timidamente guardato qualcosa e altrettanto timidamente ho cercato di scriverci. Mah. I tempi cambiano, le persone cambiano. Non sono più quello di un tempo :)
sì poi ho letto...ma in definitiva,come stai,caro amico?
RispondiEliminaMi piace sempre la puntualità con cui arrivo in posti che non sono attivi come un tempo, peccato.
RispondiEliminaNiente, per caso ho cliccato e ri-cliccato. M'ha fatto sorridere il nome del blog, una frase mi rincuorava parecchio - "mi piace chi toccato il fondo, continua a scavare nel profondo".
Au revoir
Ecco -.- figura da babba, manca un pezzo di frase!
EliminaUn tempo* una frase!
non ho mica capito quale sarebbe la frase mancante, ma va bene uguale :)
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