A causa di un lutto Nikos
si trasferisce a casa dello zio che gli offre un lavoretto, qui la
zia si rivela insofferente e pronta a “nuove esperienze”…
Ogni tanto l’eterno
dilemma del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno si ripresenta con
tutta la sua indeterminatezza: nel tirare le somme di un film come
Macherovgaltis (2010) si profila l’idea (almeno quella del
sottoscritto) che il giudizio complessivo resti imbrigliato in un
limbo da cui è difficile estrapolare una sentenza del tutto
positiva o del tutto negativa; il regista cipriota Yannis Economides,
uno che si divide tra regia e recitazione (è stato anche
attore di Lanthimos), si impegna nel dare alla sua opera una
conciatura estetica non di routine e per questo insiste molto su
campi panoramici che suggestionano: fin dalle prime battute, con le
riprese di una zona industriale, lo scenario è cupo,
fuligginoso, annerito, e come di riflesso la poca trasparenza si
ripercuote sull’indolente Nikos che passa le sue giornate davanti
alla tv o a fare l’idiota con gli amici, in più Economides
procede per sottrazione scarnificando i dialoghi e piazzando un paio
di ellissi temporali che non appesantiscono la narrazione di
superflue spiegazioni. Tali elementi, a cui va aggiunto un tocco naif
come il passaggio di una scena dal b/n al colore, sono calibrati
sufficientemente bene per dare un tono “autoriale” alla
pellicola. L’impressione è che ci sia ancora parecchia
strada da fare per il regista ma se si guarda il film in questi
termini il bicchiere è mezzo pieno.
Con l’arrivo di Nikos
in casa dello zio si aprono ulteriori scenari su cui è lecito
apporre dei dubbi; il palesarsi del nucleo filmico con la relazione
adulterina tra il nipote e la zia (si può rintracciare molto
vagamente un rimando a Peckinpah anche se in Rete si dice che la vera
fonte di ispirazione sia il film di Angelopoulos Ricostruzione di
un delitto, 1970) rende Knifer un’opera abulica che
getta sul tavolo almeno due o tre tracce senza che ne consegua un
degno sviluppo; c’è un vago spirito socio-ritrattista a cui
manca profondità: la radiografia della Grecia come sottotesto
è un topic sì intuibile ma poco incisivo (e non
basta il finale a sottolineare l’immunità del colpevole), e
soprattutto c’è una costruzione dei rapporti umani fallace
nonché una caratterizzazione di quello che dovrebbe essere il
“cattivo” (lo zio) non esattamente riuscita, infatti
l’avvicinamento tra Nikos e Gogo, segnato tra l’altro da una
caduta di stile (lei che lo sorprende a masturbarsi in bagno), con
annesso odio immediato verso Alekos, non ha fondamenta solide visto
che lo stesso zio più che un carnefice è una vittima in
balia di delinquenti albanesi, certo non risulta un tipo simpatico ma
considerare la sua detestabilità come movente per l’omicidio
appare un pretesto fragile, cosiccome lo è l’idea che sia
l’amore tra i due ad averli spinti all’efferato gesto.
Insomma la questione per
chi scrive è messa così, comunque sia l’operato di
Economides ci mostra un altro tassello di questo strano mosaico greco
che negli ultimi anni è andato a formarsi film dopo film, di
certo nella scuderia ellenica ci sono pellicole ben più
imprescnindibili.
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