Piccola parabola che
giunge dalla Macedonia sebbene il suo autore, Izer Aliu, pur avendo
origine balcaniche vive ed opera in Norvegia, nazione dove nel 2012
si è laureato presso la Norwegian Film School proprio grazie Å
vokte fjellet, un corto che sembra avere un debito estetico verso
la ruralità della cinematografia turca recente, ambientazione
agreste con tanto di famiglia autoctona, panoramiche che esaltano
l’asperità delle montagne, mocciosi che stabaccano sentendosi
degli adulti, ecco dove Aliu vuole portarci: in un’illustrazione
veritiera e verace di due bimbi macedoni e del mondo che li circonda,
delle responsabilità di un ragazzetto che non riguarderebbero nessun
altro suo coetaneo cittadino di un qualsivoglia paese definibile come
“civilizzato”: Isa non è a guardia della montagna, ma
della famiglia, del fratellino, dell’agnello fuggito, incombenze
che metterebbero a dura prova un uomo, figuriamoci un undicenne o giù
di lì, ma questa è la realtà del posto ed è esattamente ciò che
il film trasmette con maggiore rispettabilità configurando un
affresco bucolico che è anche il suo miglior – finanche minimo –
pregio.
Perché il centro
narrativo del racconto, ovvero Isa, ed il corrispettivo sviluppo
emozionale-formativo è un artefatto costruito ad hoc per evidenziare
le difficoltà del protagonista nel vivere in un luogo che ti obbliga
a crescere in fretta. Non c’è scandalo né fastidio in
un’impostazione lineare che apparecchia sulla storia gli intenti
prefissati, l’atteggiamento comprensivo del padre nel finale che
corona un po’ il senso ultimo dell’opera è piacevole da
registrare perché mostra dell’umanità anche dietro una persona
grezza forgiata dall’habitat in cui è calato, però non si può
andare davvero al di là di siffatte congetture e le possibilità che
tra non molto tempo To Guard a Mountain evapori dalla nostra
mente sono parecchio elevate.
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