venerdì 12 luglio 2019

Keshinomi

Nel suo quarto d’ora Keshinomi (2014) si alterna su una duplice pista: c’è una donna in ospedale che sta per abortire e c’è nel nitore di un paesaggio innevato un vecchietto e un bambino disabile che avanzano nella neve. Quello che sicuramente non c’è è una possibile connessione tra queste due visioni, almeno ad un livello banalmente tramico, perché se invece scavalliamo l’essere duplice sullo schermo, ecco che un legame lo si trova comunque, e nel campo del sensibile, area di suggestioni ad alto indice di soggettività. Quindi l’eclettico Isamu Hirabayashi è uno che ha fiducia nello spettatore e nella possibilità di dare un proseguimento, ed un senso, all’interno di esso, nobile intento che chi scrive perora da tempo e che si auspica possa essere un atto intrapreso sempre più spesso nell’odierna settima arte. Detto ciò Keshinomi non mi è piaciuto affatto: l’effetto che il giapponese sortisce è comunque fiacchetto nonostante i presupposti appena menzionati, alla bellezza di essere privi di tracce definite e incanalanti corrisponde un’esperienza minima di cinema dove sotto sotto la lettura del tutto si fa perfino troppo facile e dove la gamma di sentimenti che sulla carta potrebbero risultare potentissimi, resta invece imbozzolata in una struttura che risente di una certa schematicità, per dirla in modo diretto: è troppo chiaro (laddove al posto della luminosità sarebbe necessario l’atro mistero, quello vero) che il bimbo della montagna è, o sarebbe, lo stesso bimbo nella pancia della mamma, lo sforzo artistico è basso tanto quanto quello che si fa per comprenderlo.

Hirabayashi sembra possedere delle idee, il che non spiace, al contempo però tali idee non paiono ancora focalizzate in una direzione appagante, e ricordando che si occupa anche di animazione per i più piccoli, ad oggi il regista nipponico ha sfornato una gran bella cosa come Aramaki (2010), ed altre (in ordine di preferenza) più di un gradino sotto, vedi Soliton (2014) e Shikasha (2010) a cui adesso si aggiunge Keshinomi. Si resta sempre in attesa di un debutto nel lungo da parte di Hirabayashi, il banco di prova che aspettiamo frementi (vabbè, senza esagerare).

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