venerdì 30 giugno 2017

Undress Me

Quanto poco ci sarebbe da dire al cospetto di una nullità come Ta av mig (2012)! Davvero, c’è da meravigliarsi di come un corto del genere sia riuscito ad essere presentato al Festival di Berlino ’13, ma tant’è è successo e l’orgoglio cinefilo che alberga in ognuno di noi non può che urlare vendetta: quale raccomandazione avrà avuto lo svedese Victor Lindgren per accedere alla manifestazione teutonica a scapito di qualche suo collega più meritevole di lui? La risposta, oltre che superflua, come è giusto che sia non interessa a nessuno, d’altronde dal quarto d’ora di Undress Me possiamo al massimo arricchirci sul piano geometrico, è incredibile infatti di quanto il cinema, e quindi l’arte in movimento della contemporaneità, possa risultare a volte piattissimo e sottilissimo, davvero stupefacente! E a questa unidimensionalità si aggiunge un processo di imbalsamazione degno di un maestro tassidermista, si partorisce un film già morto qui, non c’è vagito alcuno per Undress Me: ma stiamo scherzando? Di seguito la celebrazione del funerale.

Non potendone parlare bene di quando era in vita perché l’esistenza (artistica) non è una condizione che appartiene a Ta av mig, rimane la sua profonda bruttezza in tutti i campi percorribili. Ad una banalità estetica corrisponde il grado zero dell’intento concettuale. Non si comprende il perché di un approccio alla transessualità come quello di Lindgren, un’azione con modi e tempi che hanno provocato a chi scrive un malessere fisico ed una rinnovata sfiducia verso la maggior parte di questi personaggi che riescono a bazzicare palcoscenici ambiti. Ad essere buoni si potrebbe vedere nel titolo un suggerimento laterale dove dietro allo spogliarsi effettivo di Mikaela si celerebbe l’intimità di un difficile passaggio corporale, ma ad essere realisti quello che lo schermo ci mostra è solo un idiota che fa domande idiote ad una tizia che ha cambiato sesso. L’atteggiamento di Han è seriamente quello di un imbecille e probabilmente (o almeno lo spero) Lindgren ha cercato di esasperare il modo di porsi del ragazzo rendendolo una sorta di impersonificazione dell’uomo medio a cui interessa vedere una fica e un paio di tette in un fisico androgino. Il punto nodale è che non c’era il minimo bisogno di tutto ciò, siamo al di là della prevedibilità, direttamente nell’area della constatazione a priori, ci sono altre modalità per tematizzare questioni del genere, e le prime che mi sovvengono da esempio sono quelle di Lifshitz in Wild Side (2004), ma l’elenco è ovviamente infinito e io stesso ne sono quasi totalmente all’oscuro. Che Lindgren studi ancora va’.

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