sabato 15 aprile 2017

Richard

E venne la notte in cui le case si staccarono dalle loro fondamenta per fluttuare nel cielo stellato con i cavi e le tubature penzolanti nell’atmosfera come i tentacoli trasparenti delle meduse, sotto, in picchiata, Jahzara, Shakina o Zwena si incamminava su per la salita in mattoni neri, lavici, dove ai lati il mondo era svanito in tenebrosi pannelli di buio dai quali provenivano stridii e fruscii provocati dalle gigantesche torri di scarafaggi che con le loro corazze oleose si sfioravano per cigolare tutti insieme, folli e brulicanti, e lei era sola, come sempre, mentre sua nonna, migliaia di chilometri più a sud, come sempre, si era appena svegliata e ingoiata una manciata di riso freddo e appiccicoso avanzato dalla sera prima aveva preso il tamburo per sedersi fuori dalla capanna, un motorino scoppiato, un cane trizampe, e via a percuotere la superficie dura e laida in modo che i battiti sulla membrana fossero gli stessi battiti cardiaci della nipote lontana: TU-TUMP/TU-TUMP, Aisha, Najya o Huma proseguiva a piccoli passi con le mani giunte sulla pancia sferica, tesa fino all’inverosimile, e lucida: era nuda: non era più niente. Fuochisti, Blatte marroni, Blatte americane, Blatte fischianti, Scarabei, Ontofagi, Cetonie dorate, Trichi fasciati, Cervi volanti. Era una ragazzina con un tesoro da donna nella pancia, forse un grosso insetto coprofago, forse una creatura celestiale, forse chiuse gli occhi e continuò a salire.

TU-TUMP/TU-TUMP

Si erano conosciuti in un Cpsa di Lampedusa, di Ragusa o di Agrigento, lui le aveva offerto un chewingum lei non sapeva nemmeno cosa fosse, non era bello, pensava, però era bello, e la sera stessa si ritrovarono soli nel magazzino del Centro che era diventato il centro del loro piccolo e derelitto universo: si avvicinarono e scoprirono di non avere un buon sapore perché entrambi: bevvero dell’acqua putrida alla periferia di Tripoli, dormirono in una specie di stalla al confine con la Serbia o mangiarono del pollo avariato ai bordi di una ferrovia vicino a Nairobi, ma non importava, le loro lingue si contorcevano già, rumori e ricordi lontani si mischiavano ovattandosi al di là della bolla impenetrabile che racchiude due persone che stanno per scopare (hal habeen laba nin oo guriga soo galeen oo aabbahay gowracay indhahayga hortooda, ډینس تل زما په زړه وي o li gundê li ser agir bû û heta niha jî gewriya sazîyên şewitandin hîs), non si chiesero neanche il nome perché, di nuovo, non importava, e mentre lui stringeva il suo seno come se stesse strizzando un pugno di farina, la nonna lontana cominciava la sua musica ancestrale che poteva viaggiare nello spazio, un flusso ritmico attraversò in cielo il Nordafrica, il Medio Oriente o i Balcani per tuffarsi nel cuore della ragazza che percepiva l’invasione maschile nel suo corpo, le dita, gli aliti, i morsi, gli odori, i sessi a contatto, non c’era nient’altro, in quel momento, che non fossero se stessi impegnati a ricercarsi egoisticamente nell’altro (poiché, così come secondo il mandala cinese dello yin e dello yang le tenebre si trovano al centro della luce, allo stesso modo per parte sua il cervello dell’uomo contiene un utero, una caverna, una pianta carnivora le cui profondità sono carnose e fumanti, e per tutta la vita cerca di accedervi, di fare l’amore con se stesso per incontrare se stesso al di là del sesso e del destino, nel puro regno dal quale tutti siamo venuti [1]). Quando finirono lei rimase stesa sulla panchetta da spogliatoio immobile, esausta, e quella goccia di sperma che le colava giù dall’interno coscia divenne la lacrima che rigava la guancia rugosa della nonna. Il giorno dopo lui fu trasferito in un altro Centro e non si rividero mai più.

TU-TUMP/TU-TUMP

Adesso era finalmente arrivata in cima, il grembo era lievitato e gli spasimi che avvertiva la obbligarono a stendersi sul bordo della salita, dietro di lei un vento raggelante le portava il rumore del buio, che era, nello specifico, il laborioso pullulare scarafaggesco, ma Rabab, Klea o Sarah non possedeva nemmeno più la forza di stare in piedi e supina, con le gambe divaricate, lasciò che i dolori lancinanti che le scuotevano l’anima la soffocassero nelle tribolazioni del parto, e così non si accorse nemmeno che delle mani invisibili stavano per accogliere la nascita, le stesse mani che la nonna muoveva incomprensibilmente nell’afa della capanna, e la ragazza urlò: dentro di sé avvertì un crampo ammutolente, una contrazione di ogni più piccola cellula nervosa, e totalmente smarrita in un cerchio di fitte e insetti minacciosi, avvertì appena che un liquido caldo iniziava a bagnarle gli adduttori e che ad ogni spinta, anche involontaria, ad ogni respiro, qualcosa all’interno di lei premeva con una forza mai provata prima e contemporaneamente sentiva che non avrebbe potuto fare niente: che ora, in un secondo che custodisce l’eternità, un piccolo cranio spelacchiato le dilatava l’orifizio vaginale, e lei si dissolveva nella solitudine materna di ogni gestazione mammifera e la nonna si accucciava per terra accarezzando una fronte immaginaria cadenzando mentalmente il suono del Grande Tamburo della Vita, e ad ogni TU-TUMP/TU-TUMP un centimetro della piccola testa insanguinata veniva alla luce, e piano piano il corpicino violaceo fu espulso, sputato, scagliato fuori: eccola lì, una polpetta umida di carne e ossicine che la ragazza, la piccola donna, si ritrovò a cullare tra le braccia, e madre e figlio piangevano all’unisono insieme alla povera nonna sfiancata dal travaglio a distanza, era paura e felicità, smarrimento e preoccupazione, ed anche se il neonato non poteva ancora abbracciare la mamma, lei si sentì protetta e avvolta da un tepore che la fece sprofondare in un sonno dolce; al risveglio un’enorme ala piumata li cingeva entrambi e l’assedio dell’oscurità lasciava filtrare il chiarore delle albe estive ed ognuno degli scarafaggi che prima si accapigliava freneticamente alle loro spalle adesso si era trasformato in un bellissimo angelo. Jeliel, Sitael, Aladiah, Hariel, Melahel, Omael, Aniel, Mebahiah, Mitzrael, Umabel, Rochel. Allora la Madre alzò la testa e vide che le case stavano ritornando alle proprie fondamenta sospinte dal fiato degli angeli che soavi danzavano nell’aria, e così, stringendo ancora più a sé il piccolo, si rivolse all’essere vicino a lei ma non riuscì a dire nulla perché il volto era un sole che l’occhio umano non poteva guardare, fu dunque Esso che, con una voce contenente tutte le voci della Terra, chiese: “come lo chiamerai?”
E lei rispose: “Richard”.

TU-TUMP/TU-TUMP/

TU-TUMP/ TU-TUMP
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[1] Mircea Cărtărescu, Abbacinante. L’ala sinistra; Voland 2008)

1 commento:

  1. checkka la mail, il coniglio pasquale ha lasciato una sorpresa :D

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