venerdì 25 dicembre 2015

Girl Model

Un documentario che vuole illustrare il fashion-business di ragazzine russe imballate e spedite verso il Giappone dove il mercato richiede volti adolescenziali, freschi e nuovi? Accidenti, come era successo per il peggior Seidl di sempre (Models, 1999), senza neanche volerlo la sinossi di Girl Model (2011) corrisponde esattamente a quanto c’è da dire sul film; per carità, vi sono ulteriori sfumature che non mancheranno di essere sottolineate, però ogni plausibile predizione generata dalla lettura della trama trova conferma sullo schermo, e allora partendo dal fatto che l’appena tredicenne Nadya vive in Siberia non stupisce poi molto la sua condizione famigliare fatta di tanta ma tanta povertà, così come è ugualmente intuibile che le selezioni delle aspiranti modelle siano qualcosa che ha poco a che vedere con quelle qualità che dovrebbero fare di un essere umano una Persona e non un manichino da vendere al miglior offerente, ma in effetti è puntualmente ciò che Redmon & Sabin si interessano di catturare, e fin dalla prima sequenza che riprende uno stuolo di poco-più-che-bambine sottoporsi al freddo giudizio di gente del settore. Per tutta la durata di Girl Model manca una forte svolta degna di essere definita tale, praticamente ogni evento che accade (dalle difficoltà personali di Nadya nella capitale giapponese, allo “sfruttamento” finanziario delle varie agenzie) si iscrive tacitamente in una lista di effetti deleteri per le dirette interessare che anche un soggetto estraneo all’ambiente immagina e conosce facilmente con dovizia di particolari.

Si diceva delle sfumature. Innanzitutto il taglio da denuncia (videocamera in mano, infiltrazioni nelle maglie del reale con non si sa quanto artificio) lascia fuori il tema della prostituzione, e per fortuna visto che le modelle in questione sono ampiamente minorenni (un accenno comunque lo si fa), il quale a bocce ferme poteva essere plausibilmente argomento da espletare, invece no: i problemi a cui Nadya va incontro sono meno immorali, sempre ammesso che truccare e imbellettare come una bambolina una ragazzetta che dovrebbe fare le scuole medie e schiaffarla (se va bene) su una rivista sia un atto eticamente corretto. Comunque sia i registi si preoccupano di far risaltare l’inadeguatezza della modella in erba che catapultata in un mondo alieno si trova a dir poco spaesata: la lingua è avversa, la compagna-collega viene rispedita a casa perché accusata di aver messo su qualche grammo di troppo, gli scatti fotografici non remunerati. In tutto questo viene tracciato anche il profilo della talent scout Ashley Arbaugh, ex modella dedita un tempo a riprendersi in video confessioni qui montate tra una scena e l’altra, che a differenza di quanto possa dirci la sua professione è una donna che in più di un’occasione lascia trasparire un certo tormento (dovuto soprattutto a problemi fisici molto seri) da dove si intende di come anche una vita potenzialmente perfetta possa celare un malessere profondo. Il che, forse, permette ai due registi di porre un parallelo tra una giovanissima che si affaccia per la prima volta nel mondo della moda, e una che pur campandoci sopra ne è uscita mezza logorata.

Le scritte su sfondo nero che chiudono il film affermano che Nadya dopo essere tornata in Russia è ripartita verso il Giappone per poi dirigersi in Cina e a Taiwan, se vi interessa sapere dove si trova in questo momento è molto semplice, anche lei ha aperto la sua bella e utilissima pagina Twitter (link) dalla quale cinguettando in inglese non manca di far sapere dove è ubicata in quell’istante e da dove manda copiose buonenotti ai fan. (sic)

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