lunedì 11 giugno 2012

The Forsaken Land

Una casa nel nulla, un bagno-baracca sul crinale del piccolo avvallamento, un uomo, sua sorella, sua moglie.
E poi il vento.

Ci sono film orientali (e non) capaci di creare un racconto a se stante oltre il piano narrativo. Proprio dove la sequenza di eventi, di fatti e accadimenti legati a ciò che – banalmente –  vediamo sembra non avere unità propria se non quella suggestiva dell’alterità, a titoli di coda raggiunti la dinamo cogitante dentro chi guarda realizza sorprendentemente che una storia, che LA storia del film si è modellata come creta grazie a sensazioni, deduzioni, traduzioni che rendono lo spettatore parte attiva dell’opera.
Sulanga Enu Pinisa (2005) di Vimukthi Jayasundara fa parte di questa categoria, e se da una parte si presenta come una visione complessa, dall’altra offre stimoli celebrali che si protraggono ben oltre la conclusione. La strada è in salita, ma vale la pena percorrerla.

Il compito principale del diligente spettatore è quello di farsi un ripassino storico sullo stato dello Sri Lanka negli ultimi, diciamo, 30-40 anni, si scoprirà così che quest’isola a due bracciate dall’India è stata vessata per anni da una guerra secessionista contro il governo ad opera del gruppo militante le Tigri Tamil, riconosciuto da 31 paesi come un’organizzazione terroristica.
Lo sfondo invisibile è dunque questo, tuttavia a Jayasundara non interessano le diatribe belliche (vedremo solo dei proiettili sepolti nella sabbia), egli è concentrato a catturare le scorie indelebili sedimentate nelle persone, d’altronde come dice Gino Strada, la guerra, al di là di quello che viene mostrato nei telegiornali, è una cosa sporca che porta droga, prostituzione e alcolismo, perciò è lecito pensare alle ostilità guerrafondaie come ad un vortice nero che risucchia l’umanità. E il film si dimostra un ottimo esempio di tale assioma.

Si tratta quindi di un’ispezione animica atta ad illuminare con estremo quanto religioso silenzio il buio esistenziale di questo gruppo sociale abbandonato a se stesso in un luogo sperduto in cui si fa un gran sfoggio di quelle qualità amorali che scagliano lontanissime le regole dell’eticità e del corretto vivere. Il tradimento (doppio: d’amore e d’amicizia) è il fattaccio più in vista e allo stesso tempo uno dei meno gra(/e)vi, l’autore suggerisce che le pessime abitudini sono ben radicate nell’agire comune cosicché l’enorme coperchio che occlude questa landa non lascia fluire via nemmeno il sogno della bambina che, con raggelante disincanto, si rende conto dell’impossibilità di una crescita nel posto in cui vive. Se poi i militari si preoccupano di più a fare i gradassi che a svolgere il proprio lavoro, e se su un muro in rovina è disegnata la sagoma di una donna con un buco all’altezza della vagina, o se il cadavere di una ragazza incinta viene lasciato sotto il diluvio sul ciglio della strada, e se, infine, anche la tradizione locale con la fiaba triste di Piccolo Uccello non trova una scappatoia se non quella della vendetta, il quadro di annichilente pessimismo è così rappresentato, e come da tradizione chi alla fine ci rimette sono sempre gli innocenti.

The Forsaken Land si concretizza all’interno di questi micro-eventi, ed anche se nel suo di-spiegarsi lascia interrogativi difficilmente risolvibili (l’incipit? L’unghia strappata? Il sacco?), si rivela una manifestazione cinematografica solo apparentemente disunita, un’opera dalla corposa portata semantica a dispetto di un vestito essenziale, un film che attesta la distanza già ampiamente comprovata fra il cielo, posto di residenza divina, e la terra, una buca nel terreno in cui due miseri uomini fantasticano sul desiderio di poter volare.

6 commenti:

  1. Grazie!!
    Mi ripromettevo di vederlo, prima o poi. Non lo avevo ancora fatto perché credevo, chissà perché, fosse un film duro, pieno di scene di guerra o di tortura molto realistiche (che mi sconvolgono).
    Dopo questa tua bella recensione lo vedrò a breve.

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    1. Tutto il contrario bombus, ogni elemento è esposto per sottrazione:
      l'assenza di una qualsivoglia vicinanza (sentimentale, sessuale) non viene mostrata ma appena accennata: la sagoma di una donna disegnata sul muro e un buco all'altezza della vagina.
      A suo modo potente.

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  2. Concordo, bella recensione! Mi sa che il film lo recupero.

    Ah, una domanda. L'hai visto il Faust di Sokurov? Une bella rece anche di quello ci starebbe tutta.

    A presto. :)

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    1. L'ho visto a suo tempo, ma siccome Sokurov è un quasi perfetto sconosciuto per il sottoscritto, non me la sono sentita di scriverci sopra qualcosa.

      Bel nick ;)

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