È possibile
traslare su pellicola il magma emotivo che alberga dentro la
popolazione di una delle più grandi metropoli del mondo, tipo New
York? Probabilmente no, non è fattibile, e non c’entra tanto la
geografia perché sarebbe complicato anche se si riprendessero gli
esseri umani di un paesino sulle montagne, c’entra l’antropologia,
se così si può dire, e l’ardua impresa di captare le vibrazioni
sentimentali delle persone con lo strumento cinema in un film dalla
durata limitata, e nel caso specifico di 21 x Nowy Jork (2016)
alquanto limitata: settanta minuti. Però, insomma, ogni tanto capita
che qualche impavido regista si imbarchi in missioni del genere e il
nostro “eroe” odierno si chiama Piotr Stasik, polacco nato nel
1976 con una manciata di documentari in curriculum di cui con
altissima probabilità non vedremo mai nulla (ma perlomeno
registriamo una plausibile recidività: 7 x Moskwa, 2006),
il quale si era recato nella Grande Mela per girare il suo film
precedente Dziennik z podrózy (2013)
e dove ha capito che c’era margine anche per fare quello
successivo. Il numero 21 del titolo dovrebbe avere una duplice
valenza: è ovviamente il secolo di riferimento in cui il
documentario è ambientato ed è anche la quantità di soggetti che
Stasik fugacemente illustra durante questo viaggio metropolitano.
Quindi umanità dentro una precisa condizione temporale, è
importante tenere a mente tale assioma durante la visione di 21
X New York, la natura del
singolo e i connotati intimi che si porta appresso rapportati al
periodo iper-veloce/connesso che qui si simbolizza nella
metropolitana newyorchese, un’arteria che pompa senza sosta un
sangue in preda ai più svariati stati d’animo.
Con
un minutaggio così ridotto Stasik non riesce a soffermarsi granché
sui personaggi che vuole raccontarci, questi tizi entrano ed escono
dallo schermo con la medesima rapidità di uno sguardo che si dà ad
uno sconosciuto seduto di fronte a te sulla metro, e se ciò era
voluto l’effetto sortito non si può dire che abbia centrato il
bersaglio perché come si diceva prima cogliere l’infinita
complessità delle emozioni è pressoché impensabile, al contempo
traspare una sincerità di fondo a cui non me la sento di voltare le
spalle, no perché anche se in linea generale il precipitato del film
era pronosticabile, ovvero che, seppur residenti in una delle città
più popolose del pianeta, i suoi abitanti si sentono parecchio, ma
parecchio, soli e perciò tentano di mitigare la solitudine con
futili espedienti, nonostante la suddetta sintesi tematica, sfiorare
la mestizia di ’sta gente non è poi così male forse perché “’sta
gente” siamo anche noi, e allora dal ragazzino che si aggira a
Coney Island cercando di rimorchiare qualche coetanea all’uomo di
mezz’età che si è invaghito di un nerboruto spogliarellista
passando per altre micro-storie ordinarie fatte della stessa materia
di cui è fatta la vita, ci si può anche dimostrare accoglienti e
prenderle nella loro effimera e sfuggente essenza. In aggiunta Stasik
si lancia in qualche accento tecnico fatto di sfocamenti,
inquadrature sporche e variegate che certificano le intenzioni di
andare un pelo al di là del banale orticello, se molto manca in 21
x Nowy Jork, qualcosa, di
contro, c’è.
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