venerdì 20 maggio 2016

Le mille e una notte - Arabian Nights: Volume 3 - Incantato

Finalmente facciamo conoscenza con Shahrazād: c’è di più: il prologo di O Encantado non si riduce a mostrarci la bella principessa narratrice, per Gomes colei che racconta diviene a sua volta racconto. Nel gioco interminabile di matrioske perfino la donna che dovrebbe essere il demiurgo della situazione, passeggiando per una Baghdad incantata e anacronistica (coesistono persone agghindate con vesti orientali ed altre in abiti moderni così come i cavalli osservano i motoscafi sul pelo dell’acqua), diviene a sua volta la protagonista di una storia non dissimile da quelle che ci ha illustrato nei due film precedenti. E così in uno scenario cristallino, sterrato dalle miserie umane che interessano a Gomes, la vediamo fare incontri con personaggi grotteschi completamente slegati da una sequenzialità logico/temporale, si va da un adone ingravidante ad un esotico menestrello passando per un’alterazione spaziale con una band che ci canta della saudade. Ma a questo punto nasce una domanda: se Shahrazād è la protagonista principale di questa porzione filmica, chi sta raccontando questa storia? Gomes? Probabilmente no, nell’incipit del trittico, in Inquieto, scappava a gambe levate di fronte alla responsabilità etico/politica di fare un film oggi, adesso, ora in Portogallo, e difatti in O Encantado lo ritroviamo come un servo della principessa, un umile subalterno del racconto. Non si sa allora chi in tale frangente conduca il film, è possibile che qua si giunga al nocciolo più puro di tutto il discorso concettuale di As Mil e Uma Notes: semplicemente, le storie si raccontano da sole.

Nel prosieguo, con l’adottamento del modello già visto in Inquieto e in Desolato, Shahrazād ritorna ad intrattenere il feroce Re (ma non sentiamo più la sua voce, solo scritte sovraimpresse, un dettaglio da non trascurare) con una vicenda traslata (o traslabile) nel Portogallo odierno. Questa volta è un solo unico racconto inframezzato da un entracte che, ovviamente, si fa corpo di lettura custodito in un suo simile, e anche parecchio interessante: al parlato over di una giovane cinese che ripercorre la sua storia d’amore con un lusitano si accompagnano delle immagini stridenti di numerosi manifestanti parecchio incazzati, non si sa altro, non ce n’è nemmeno bisogno: è sufficiente il cortocircuito tra il veduto e l’udito a riempire. Ritornando sulla traccia principale, ovvero il segmento in assoluto più lungo fra tutti gli altri, ritengo che possa completarsi e significarsi la traiettoria teorica scelta da Gomes. In O Inquieto avevamo tre quadretti in equilibrio tra realtà e fantasia da cui però si poteva desumere chiaramente il fare dardeggiante che sottendeva il tutto, obiettivo: gli effetti della Crisi su portoghesi, obiettivo centrato. Nella triade di O Desolado quella dicotomia realismo vs. slanci immaginifici si risolveva di più in favore della prima istanza con una perdita effettiva del sottotesto canzonatorio. Giunti a Incantato tutto si chiarifica: il movimento di Gomes non è stato altro che un poderoso svelamento del reale, il ritratto degli abitanti del povero barrio dediti all’allevamento di fringuelli ci viene restituito così: in modo naturale, documentaristico, etnografico, non ci sono accenti o squarci irrazionali, Gomes segue come un testimone silenzioso tutte le attività inerenti alla stramba passione di queste persone. Partito con una astrazione, l’acida allegoria di politici impotenti, il regista conclude il proprio tour de force nel concreto: nel popolo ripreso senza ammennicoli di sorta, nell’immagine che tende alla virginalità.

Stilare delle conclusioni che sappiano davvero chiudere il cerchio è un atto non così semplice, a meno di non scadere in certe banalità. Perché è evidente che As Mil e Uma Notes è un film definibile come molti testi letterari postmoderni, ovvero un’opera-mondo che contiene una cifra ragguardevole di cose su cui è indispensabile fermarsi a ragionare. Dal canto mio, con tutti i limiti che possiedo (anche di comprensione, conosco e comprendo l’inglese ma non così bene), ho trovato nell’idea di Gomes una spinta ammirevole verso la contemporaneità, la scelta di fare un cinema narrativo servendosi di un metodo del genere (una frammentarietà divergente… eppure così convergente) incontra i favori di chi scrive che da tempo auspica l’espulsione della linearità dalle sintassi filmiche odierne. È una gran bella esperienza spettatoriale, chi non la prova resterà un po’ più povero degli altri.

Nessun commento:

Posta un commento