giovedì 3 marzo 2011

L'umanità

È evidente una stretta continuità fra L’età inquieta (1997) e L’umanità (1999).
Nei primi 50 minuti i tre personaggi che popolano la vicenda, ovvero il poliziotto Pharaon, la vicina di casa Domino e il suo ragazzo Joseph, sembrano la riproposizione nell’adultità dei ragazzini del precedente film. Le loro 3 vite si fanno all’incirca una sola avente come comun denominatore quello della noia, delle gite alla spiaggia in una giornata fredda, del sesso che è solo sesso senza il minimo sentimento.
Anche il paesaggio urbano è identico a La vie de Jésus con quelle strade deserte, percorse questa volta da silenziose biciclette invece che da roboanti motorini, e casette tutte omologate visivamente monotone come l’esistenza di chi le abita.

Bruno Dumont riprende dunque le fila del suo esordio, ma questo è solo il punto di partenza.
La crescita fra i due film, che per molti potrebbe anche essere considerata una decrescita, sta nell’ offrire allo spettatore una pellicola che abbandona l’idea di farsi mezzo-denuncia per inoltrarsi totalmente nelle pieghe, già piuttosto lampanti due anni prima, del cinema autoriale.
L’assassinio con relativa violenza sessuale ai danni di una bambina è il MacGuffin che il regista francese utilizza per imbastire una storia che non toccherà mai le canoniche procedure di investigazione, andando invece ad occuparsi psicologicamente di quella “materia” che dà il titolo al film, ma più che concentrarsi sulla sua presenza, ne mostra la preoccupante assenza.

O meglio, il titolo così brachilogico trova concretizzazione nel protagonista principale, uno straordinariamente dimesso Emmanuel Schotté che attore lo è stato solo in questo film e in nessun altro. Lui, un uomo piccolo, timido, ancorato e sollevato dalla terra che abbraccia e coltiva con amore, affascinato dalla natura che si distende oltre le finestre, che rifiuta il pube di Domino sbattutogli in faccia, un uomo così insignificante, posto in un paesino ancor più miserabile, contiene in nuce un tesoro di inestimabile valore frutto di un percorso di sofferenza (la morte dell’amata e della figlia) e reciproca alienazione (lui sempre più lontano dagli altri, e gli altri sempre più lontano da lui), che lo fanno diventare una figura misericordiosa, caritatevole, biblica.

Il minutaggio complessivo, quasi due ore e mezza per la versione uncut, non agevola la fruizione di un film come questo dove Dumont, al pari di molti maestri passati ed anche contemporanei, (e)stende un velo anestetizzante sulla storia in cui è ravvisabile quella che è stata definita dai critici “una certa pedanteria intellettuale”.
Ma nell’ottica artistica L’umanità ha una dimensione ragguardevole visto che l’intento dell’autore è quello di proporre nella nostra contemporaneità un uomo quasi messianico in grado di redimere il mondo, in questo caso una piccola comunità, la quale però si intuisce ha valenza universale.
Quindi l’impegno del regista nel voler edificare una tale storia, e quello dello spettatore che deve entrare nell’ordine di idee per cui questo film NON è un’indagine sulla morte di una bambina, convergono in un’unica direzione: il cinema di Dumont, che per quanto indigesto sia va affrontato.
E alla fine, forse, anche noi sorrideremo come Pharaon nel commissariato-Golgota, ammanettato per il bene di un’umanità allo sbando. Perché se è vero che Dio si è fatto uomo per salvarci, adesso è venuto il momento di ricambiare il favore.

2 commenti:

  1. ho letto qua e là per non "rovinarmi" la visione (ancora non l'ho visto), ma- da quel che scrivi, e conoscendo un po' l'opera di Dumont- bisogna che rimedi al più presto :)

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  2. è un film che non si esaurisce alla prima visione ma macera dentro. Molto difficile. Solleverà (tiene bene a mente questa parola) dubbi su dubbi. Curioso, ovviamente, di sapere cosa ne penserai.

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