Marito playboy droga la moglie remissiva per soddisfare l’appetito sessuale del suo capo. Dopo questo evento la donna sclera di brutto e inizia a uccidere un po’ chi gli capita sottotiro.
CAT III di infimo ordine, e fin qui non c’erano dubbi, diretto nel 1999 da un attore-regista hongkonghese di nome Lee Siu-Kei. In sostanza tutto il film è una ricostruzione singeriana (ovviamente esagero) della donna che arrestata dalla polizia spiffera loro le sue avventure serialkilleresche con tanto di particolari – se vi interessa, il pene del marito lo ha cucinato con delle uova strapazzate – affiancati da inutili approfondimenti sentimentali.
Come già mi era capitato di notare in altri film marchiati da questa censura di Hong Kong, i personaggi ivi rappresentati sono connotati parodisticamente fino a divenire sottili caricature. C’è ad esempio il postino pelato che sembra uscito da un manga hentai la cui presenza sul set è legittimata soltanto dal fatto che la moglie doveva uccidere qualcuno, e se quel qualcuno la spiava sotto la doccia ancora meglio. Involontariamente comico il momento in cui la donna ancora scioccata dalla violenza subita apre la porta mezza gnuda al portalettere e lui quasi spaventato se ne va via, si vede che per il Dio Plot non era ancora giunto il suo momento.
Insomma, non è questo un film di grande profondità intellettuale, e tale superficialità è rintracciabile anche nel suo aspetto esteriore che è dozzinale, scadente, e soprattutto banale, dimostrando tutta la povertà, anche di idee, con cui è stato girato. Poi vabbè se si vuole rintracciare qualche elemento da ride’ non c’è che l’imbarazzo della scelta, personalmente ho trovato l’urlo di vendetta della moglie in pieno stile Troma, ma devo dire che anche il tradimento alla luce del sole del marito con una sciacquetta locale proprio sotto casa ha un suo discreto valore trashistico.
In generale questo tipo di cinema non si impegna in una riproposizione della realtà, e il che non deve essere obbligatorio, sia chiaro, ogni regista ha giustamente una propria visione dell’arte, ma punta invece sul trauma esploitativo senza essere minimamente convincente, non riuscendo perciò a traumatizzare sul serio. E a nulla serve qualche sporadico nudo femminile per dare nerbo alla storia, al massimo la rende ancora più goffa con quell’accenno di effusioni saffiche fra una vittima e la folle protagonista.
Sul fatto che alla fine la carnefice proponga alla sua rivale amorosa di scegliere di morire per una coltellata e o per l’ingurgitamento di sonniferi è meglio tacere perché la soluzione ha del dilettantesco.
Uno spreco di tempo che se non fosse stato per la valutazione di IMDb (7.2 di media per 26 voti, evidentemente la troupe del film si è messa a votare in massa) avrei evitato di sprecare. Nell’ambito dei CAT III Indecent Woman è due o tre gradini sotto The Untold Story (1993), che a sua volta è ben lontano dall’intrattenimento di Riki-Oh (1991).
CAT III di infimo ordine, e fin qui non c’erano dubbi, diretto nel 1999 da un attore-regista hongkonghese di nome Lee Siu-Kei. In sostanza tutto il film è una ricostruzione singeriana (ovviamente esagero) della donna che arrestata dalla polizia spiffera loro le sue avventure serialkilleresche con tanto di particolari – se vi interessa, il pene del marito lo ha cucinato con delle uova strapazzate – affiancati da inutili approfondimenti sentimentali.
Come già mi era capitato di notare in altri film marchiati da questa censura di Hong Kong, i personaggi ivi rappresentati sono connotati parodisticamente fino a divenire sottili caricature. C’è ad esempio il postino pelato che sembra uscito da un manga hentai la cui presenza sul set è legittimata soltanto dal fatto che la moglie doveva uccidere qualcuno, e se quel qualcuno la spiava sotto la doccia ancora meglio. Involontariamente comico il momento in cui la donna ancora scioccata dalla violenza subita apre la porta mezza gnuda al portalettere e lui quasi spaventato se ne va via, si vede che per il Dio Plot non era ancora giunto il suo momento.
Insomma, non è questo un film di grande profondità intellettuale, e tale superficialità è rintracciabile anche nel suo aspetto esteriore che è dozzinale, scadente, e soprattutto banale, dimostrando tutta la povertà, anche di idee, con cui è stato girato. Poi vabbè se si vuole rintracciare qualche elemento da ride’ non c’è che l’imbarazzo della scelta, personalmente ho trovato l’urlo di vendetta della moglie in pieno stile Troma, ma devo dire che anche il tradimento alla luce del sole del marito con una sciacquetta locale proprio sotto casa ha un suo discreto valore trashistico.
In generale questo tipo di cinema non si impegna in una riproposizione della realtà, e il che non deve essere obbligatorio, sia chiaro, ogni regista ha giustamente una propria visione dell’arte, ma punta invece sul trauma esploitativo senza essere minimamente convincente, non riuscendo perciò a traumatizzare sul serio. E a nulla serve qualche sporadico nudo femminile per dare nerbo alla storia, al massimo la rende ancora più goffa con quell’accenno di effusioni saffiche fra una vittima e la folle protagonista.
Sul fatto che alla fine la carnefice proponga alla sua rivale amorosa di scegliere di morire per una coltellata e o per l’ingurgitamento di sonniferi è meglio tacere perché la soluzione ha del dilettantesco.
Uno spreco di tempo che se non fosse stato per la valutazione di IMDb (7.2 di media per 26 voti, evidentemente la troupe del film si è messa a votare in massa) avrei evitato di sprecare. Nell’ambito dei CAT III Indecent Woman è due o tre gradini sotto The Untold Story (1993), che a sua volta è ben lontano dall’intrattenimento di Riki-Oh (1991).
che dici..evitiamo? eh
RispondiElimina