giovedì 7 ottobre 2010

Fantasma

I film di Alonso iniziano che nemmeno te ne accorgi, il tempo di accomodarti in silenzio che quasi come fosse un evento naturale si scopre un mondo fatto di muti piani sequenza, lente carrellate in avanti o all’indietro, dialoghi frantumati dentro ovattati brusii in sottofondo, figure che vagano, che si fermano, che vagano di nuovo.
Fantasma (2006) comincia da un’inquadratura paradigmatica: Argentino Vargas dallo sguardo sognatore chiuso – intrappolato – dietro una porta a vetri. Per tutta la durata del film vedremo il protagonista errare – infestare… ? – il palazzo della casa di produzione in cui sta per essere proiettato Los muertos (2004). Insieme a lui si aggirano altre tre persone che probabilmente lavorano lì tra cui una giovane donna e due uomini. Non c’è nessuna ripresa esterna, sotterranei claustrofobici e angoscianti come una giungla labirintica, luci che si spengono e si accendono, inquietudine attorno la sala.
Ma dentro di essa, fra le file vuote di seggiolini che esteticamente ricordano Goodbye, Dragon Inn (2003), l’encefalogramma piatto alonsiano subisce una scossa, e si aggrappa ad una speranza fatta di luce: è il proiettore che come una spada fende le tenebre della platea per donare immagine e mitigare – esorcizzare… ! – il perpetuo vagabondare di queste anime.

Il resto, come dice qualcuno, è noia.
Mancando delle suggestive riprese boschivo-fluviali che perlomeno smorzavano la monotonia, Fantasma è nell’ottica del semplice coinvolgimento (parola inaccostabile, comunque, al regista argentino) il meno sostenibile, o forse se la gioca alla pari con La libertad (2001), di cui il protagonista, Misael Saavedra, è qui presente nell’edificio per girovagare davanti alla mdp.
È dunque una trilogia quella di Alonso, ostica come poche altre ho avuto l’occasione di vedere.
Fiction e documentario sono due crinali di uno stesso rilievo per il señor Lisandro, e poco importa (a lui) se gli attori sono tutti non professionisti, se la musica, sorgente empatica per eccellenza, viene bandita o quasi nella diegesi, e se la narrazione è allungata fino a dimenticarsi cosa sta raccontando, un po’ a noi importerebbe in effetti per non finire nella maledetta – noia – che sempre quel qualcuno diceva. Ma se lasciate da parte il “divertimento” disatteso, scoprirete un ragazzo argentino didatticamente capace di utilizzare e spiegare il veicolo cinema, noioso ok, ma non lo è a volte anche la scuola?

Piccola divagazione sui tre titoli.
La libertà vede un uomo imprigionato contemporaneamente dal suo lavoro e dall’obiettivo di Alonso; Ne I morti Vargas viene liberato (!) dopo anni di galera; In Fantasma, spirituale prosecuzione del titolo precedente a quanto pare, delle persone vivono in una grande casa per bambole, il palazzo della produzione (nuovamente il lavoro!), una prigione.
C’è un nesso circolare che lega le tre pellicole, sepolto sotto l’inesplicabile marchio di Alonso, però c’è.

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