Entriamo timidamente nella stanza di Lisandro Alonso. Ad un primo sguardo la camera è spoglia, assolutamente essenziale. Ci sono alcune piante e un sottofondo imprecisato di animali, più in là c’è un fiume giallognolo che scorre lento.
Concettualmente Los muertos (2004) riprende e supera l’opera prima La libertad (2001) poiché sullo schermo si concretizza quell’espressione di libertà che nel film d’esordio era più che altro una chimera visto che il boscaiolo sebbene svincolato da qualsiasi legame era a sua volta imprigionato dal lavoro che svolgeva e dall’occhio di Alonso che non lo abbandonava un attimo.
Qui, con la scarcerazione di Argentino Vargas, vediamo nei fatti ciò che può definirsi un uomo libero. E cosa fa quest’uomo per assaporare la ritrovata condizione? Le cose più semplici ma al contempo necessarie: comprarsi delle caramelle, andare con una prostituta, mangiare un gelato. Azioni riprese senza alcuna sottolineatura dal regista, praticamente in presa diretta, che rimarcano la tendenza di Alonso a sconfinare nel documentaristico, un genere che comunque in Los muertos viene sorpassato dalla fiction grazie alla presenza di un esile storia di fondo.
E la storia mostra in soldoni Vargas muoversi alla ricerca della propria moglie che non vede da molti anni. La vicenda prende una piega diversa quando l’uomo si mette sulla canoa che un compagno di prigione gli aveva fatto preparare, e inizia a discendere il fiume. Lunghi piani sequenza di rara bellezza naturalistica immortalano le remate di Vargas sulla placida superficie dell’acqua. Non c’è musica, non c’è dialogo, non c’è poesia, non accade niente, eppure ha un fascino magnetico, pressoché inspiegabile, o forse spiegabilissimo nel mistero primordiale degli alberi, del vento che li muove accarezzandoli, dell’erba che nasconde enigmatiche presenze.
Già, perché considerando il titolo, un’ombra pesante ci viene mostrata nell’ottimo incipit: due corpi senza vita sul fondo della foresta. Ipotizzabili come la causa che ha portato Vargas in prigione, sono due fantasmi il cui riverbero si affaccia durante l’uccisione della capretta (sarebbe piaciuta molto a gente come Deodato o Lenzi) attraverso cui si può evincere la freddezza con la quale il protagonista sa trattare la morte, anche se sono personalmente combattuto da un’altra interpretazione che potrebbe vedere lo scotennamento dell’animale come un evento inserito nell’ordinarietà di un ambiente carico di morte (la foresta) nel quale comunque sussiste la vita.
L’inquadratura fissa sul pupazzetto di plastica con affianco una specie di ruota gettata a terra è la chiosa finale attraverso cui si potrebbe rintracciare il senso dell’opera: uomini immobili (forse morti) in un ambiente impassibile (le galline che indifferenti camminano affianco). Significazione, questa, puramente soggettiva.
La porta è stata aperta, siamo entrati e abbiamo dato uno sguardo. Nel diroccato condominio di Oltre il fondo ci sono state visioni più interessanti, ma il signor Alonso, a differenza della prima impressione, ha le carte in regola per stupire.
Concettualmente Los muertos (2004) riprende e supera l’opera prima La libertad (2001) poiché sullo schermo si concretizza quell’espressione di libertà che nel film d’esordio era più che altro una chimera visto che il boscaiolo sebbene svincolato da qualsiasi legame era a sua volta imprigionato dal lavoro che svolgeva e dall’occhio di Alonso che non lo abbandonava un attimo.
Qui, con la scarcerazione di Argentino Vargas, vediamo nei fatti ciò che può definirsi un uomo libero. E cosa fa quest’uomo per assaporare la ritrovata condizione? Le cose più semplici ma al contempo necessarie: comprarsi delle caramelle, andare con una prostituta, mangiare un gelato. Azioni riprese senza alcuna sottolineatura dal regista, praticamente in presa diretta, che rimarcano la tendenza di Alonso a sconfinare nel documentaristico, un genere che comunque in Los muertos viene sorpassato dalla fiction grazie alla presenza di un esile storia di fondo.
E la storia mostra in soldoni Vargas muoversi alla ricerca della propria moglie che non vede da molti anni. La vicenda prende una piega diversa quando l’uomo si mette sulla canoa che un compagno di prigione gli aveva fatto preparare, e inizia a discendere il fiume. Lunghi piani sequenza di rara bellezza naturalistica immortalano le remate di Vargas sulla placida superficie dell’acqua. Non c’è musica, non c’è dialogo, non c’è poesia, non accade niente, eppure ha un fascino magnetico, pressoché inspiegabile, o forse spiegabilissimo nel mistero primordiale degli alberi, del vento che li muove accarezzandoli, dell’erba che nasconde enigmatiche presenze.
Già, perché considerando il titolo, un’ombra pesante ci viene mostrata nell’ottimo incipit: due corpi senza vita sul fondo della foresta. Ipotizzabili come la causa che ha portato Vargas in prigione, sono due fantasmi il cui riverbero si affaccia durante l’uccisione della capretta (sarebbe piaciuta molto a gente come Deodato o Lenzi) attraverso cui si può evincere la freddezza con la quale il protagonista sa trattare la morte, anche se sono personalmente combattuto da un’altra interpretazione che potrebbe vedere lo scotennamento dell’animale come un evento inserito nell’ordinarietà di un ambiente carico di morte (la foresta) nel quale comunque sussiste la vita.
L’inquadratura fissa sul pupazzetto di plastica con affianco una specie di ruota gettata a terra è la chiosa finale attraverso cui si potrebbe rintracciare il senso dell’opera: uomini immobili (forse morti) in un ambiente impassibile (le galline che indifferenti camminano affianco). Significazione, questa, puramente soggettiva.
La porta è stata aperta, siamo entrati e abbiamo dato uno sguardo. Nel diroccato condominio di Oltre il fondo ci sono state visioni più interessanti, ma il signor Alonso, a differenza della prima impressione, ha le carte in regola per stupire.
non saprei giudicare...
RispondiEliminavolevo solo farti i complimenti per le ricercatezze che vai recensendo di recente.
ciao :)
Comunque ti stimo troppo. Devo vedere una cosa come un centinaio di film che hai recensito. E il fatto è che di sicuro hai meno tempo libero di me a disposizione, e riesci a guardarli e recensirli pure. Io niente. Dannata pigrizia.
RispondiEliminaGiovanni
ps. però finalmente ho visto Nikita che non c'entra nulla, ma è un filmone.
Grazie roby, anche se io non riesco a chiamarle recensioni perché quelle le fanno i critici, gente che ne sa. Comunque questo sarà l'ultimo post dedicato al cinema per un certo periodo. Devo fermarmi per cause maggiori, quando ritornerò cercherò di parlare di alcuni film che ho visto molto belli, a parte uno che è letteralmente STRAORDINARIO.
RispondiEliminaNe ho di tempo libero Gio', ne ho vai tranquillo. La tua stima mi inorgoglisce come un pavone, è sempre bello sentirsi ascoltati.
Nikita di Besson? Lo devo aver visto su Tele+ qualche era geologica fa. Me lo ricordo come abbastanza fico, sì.
Vabbè ragà, ci si legge domani che metto l'ultimo post e poi per un tempo indefinito qui sarà solo silenzio.
Tanto ti aspettiamo. Non scappi :)
RispondiEliminaGiovanni
un viaggio verso il passato e verso il futuro insieme.
RispondiEliminaun grande film.
vedrò anche gli altri, mi sembra, Lisandro, uno che qualcosa da dire
Ma non lo so sai, Ismaele. Io ho già visto anche Fantasma che è un film che si lega indissolubilmente con questo, e non mi ha soddisfatto troppo così come era successo per La libertad. Mi manca Liverpool, incrocio le dita.
RispondiElimina"Liverpool" l'ho visto l'altro giorno.
RispondiEliminanon so bene per quali meccanimi, ma mi ha ricordato qualcosa di Bela Tarr, le atmosfere, la non speranza, chissà.
anche qui un viaggio.
adesso tocca a "Fantasma"
Beh, se si avvicinasse anche solo un minimo a Tarr, sarei più che contento.
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