Inaspettatamente nell'universo tsaiano smette di piovere. I/l cinema sono/è chiusi/o dopo Goodbye, Dragon Inn, e a Taipei è periodo di grande siccità che la tv suggerisce di sconfiggere con il succo d’anguria. Sembrerebbe, dunque, che qualcosa sia cambiato davanti alla mdp di Tsai. Ma è solo apparenza; perché sebbene la sua filmografia si mostri liquida in superficie, nel profondo i suoi film sono gelidi quadretti di cristallizzata solitudine, e Il gusto dell’anguria (2005) non sfugge a questa amara visione. La presenza del cocomero, che ricordo essere un frutto costituito dal 90% di acqua, si presenta fin da subito come una divisione, un ostacolo tra le persone. La prima sequenza è sintomatica perché Hsiao-Kang, ora porno attore, “masturba” l’anguria posta tra le gambe della donna come se fosse un sesso femminile. Si palesa subito una distanza, più fisica di quella in Che ora è laggiù?(2001), ma non per questo più semplice da ridurre, anzi proprio per essere caratterizzata da una (falsa) vicinanza corporale appare oggettivamente impossibile da diminuire. L’insistenza su questo frutto unita all'improvvisa allegria dei balletti, per i quali ci sarebbe voluta una sottotitolatura, parrebbero versare un goccio di positività nella conca nera di Tsai. Anche qui è solo apparenza.
Se da un lato si ha questa leggera predisposizione al sorriso, dall’altro non si può che fare ammenda della lontananza tra gli uomini che si consuma sullo schermo dentro profondissimi campi lunghi che sembrano risucchiarli. Lui fa il bagno nella cisterna del palazzo e poco dopo dal rubinetto di lei fuoriescono bolle di sapone che vanno a cozzarle addosso senza riuscire a svegliarla (scena da applausi); lei offre un bicchierone di succo d'anguria, di nuovo il cocomero che divide, e lui fa finta di berlo per gettarlo, appena riesce, in un angolino. Lei espelle un’anguria da sotto la canottiera, lui si fa una sega spiando la collega che si trastulla con una bottiglia vuota. Anche nei momenti in cui riescono a stare insieme faticano a trovarsi: dopo mangiato si aggrovigliano sotto il tavolo fumando una sigaretta, nell’istante di massimo contatto sono rinchiusi in uno sgabuzzino con scaffali e scaffali di dvd porno, ma pure qui, un secondo prima del passo decisivo, qualcosa sembra bloccarli.
E così tra i sorrisi, comunque pochi e spesso amari in particolare per ciò che riguarda i siparietti erotici di Hsiao dove la potente pioggia del passato è ridotta in scala ad una bottiglietta bucherellata tenuta in mano dall’assistente tecnico, si arriva alla conclusione. Inaspettatamente, o forse no visto il suo curriculum, Tsai si rivela micidiale con una sequenza che ha un carico lesivo potentissimo, dolorosamente indimenticabile, nel quale si innestano riflessioni profilmiche, ecco che ritorna IL distacco: all’inizio un’anguria adesso un separè che tenta di essere goffamente oltrepassato con la fellatio soffocante evidenziata dal sinistro primo piano della ragazza che quasi affoga nell’atto, ed extrafilmiche, dove una donna è solamente il suo corpo svuotato che a sua volta è un oggetto utilizzato come mezzo per raggiungere uno scopo nella totale indifferenza del regista e dei suoi collaboratori (“mettila di qui, no girala di là”).
Voto 8 al film e 10 alla sua funerea chiusura.
Nota a margine.
Io avevo già visto Il gusto dell’anguria circa un anno fa. O meglio, avevo provato a vederlo, ma dopo quaranta minuti avevo staccato perché lo trovavo pesante. Mi viene da pensare che l’unico limite di Tsai Ming-liang sia quello di aver creato un continuum talmente autoreferenziale da non poter essere scorporato. O lo si vede tutto o è meglio non vederlo, perché penetrare nel suo mondo guardando un solo film diventa praticamente impossibile.
Se da un lato si ha questa leggera predisposizione al sorriso, dall’altro non si può che fare ammenda della lontananza tra gli uomini che si consuma sullo schermo dentro profondissimi campi lunghi che sembrano risucchiarli. Lui fa il bagno nella cisterna del palazzo e poco dopo dal rubinetto di lei fuoriescono bolle di sapone che vanno a cozzarle addosso senza riuscire a svegliarla (scena da applausi); lei offre un bicchierone di succo d'anguria, di nuovo il cocomero che divide, e lui fa finta di berlo per gettarlo, appena riesce, in un angolino. Lei espelle un’anguria da sotto la canottiera, lui si fa una sega spiando la collega che si trastulla con una bottiglia vuota. Anche nei momenti in cui riescono a stare insieme faticano a trovarsi: dopo mangiato si aggrovigliano sotto il tavolo fumando una sigaretta, nell’istante di massimo contatto sono rinchiusi in uno sgabuzzino con scaffali e scaffali di dvd porno, ma pure qui, un secondo prima del passo decisivo, qualcosa sembra bloccarli.
E così tra i sorrisi, comunque pochi e spesso amari in particolare per ciò che riguarda i siparietti erotici di Hsiao dove la potente pioggia del passato è ridotta in scala ad una bottiglietta bucherellata tenuta in mano dall’assistente tecnico, si arriva alla conclusione. Inaspettatamente, o forse no visto il suo curriculum, Tsai si rivela micidiale con una sequenza che ha un carico lesivo potentissimo, dolorosamente indimenticabile, nel quale si innestano riflessioni profilmiche, ecco che ritorna IL distacco: all’inizio un’anguria adesso un separè che tenta di essere goffamente oltrepassato con la fellatio soffocante evidenziata dal sinistro primo piano della ragazza che quasi affoga nell’atto, ed extrafilmiche, dove una donna è solamente il suo corpo svuotato che a sua volta è un oggetto utilizzato come mezzo per raggiungere uno scopo nella totale indifferenza del regista e dei suoi collaboratori (“mettila di qui, no girala di là”).
Voto 8 al film e 10 alla sua funerea chiusura.
Nota a margine.
Io avevo già visto Il gusto dell’anguria circa un anno fa. O meglio, avevo provato a vederlo, ma dopo quaranta minuti avevo staccato perché lo trovavo pesante. Mi viene da pensare che l’unico limite di Tsai Ming-liang sia quello di aver creato un continuum talmente autoreferenziale da non poter essere scorporato. O lo si vede tutto o è meglio non vederlo, perché penetrare nel suo mondo guardando un solo film diventa praticamente impossibile.
bella recensione,sei bravissimo come sempre..a me è piaciuto..e credo tu abbia ragione..va vista in blocco l'opera del regista
RispondiEliminaGuarda brazzz io più penso al finale e più mi viene la pelle d'oca. Credo che si tratti di una delle conclusioni più devastanti della storia del Cinema.
RispondiElimina..Una nuova finestra..
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