martedì 22 giugno 2010

L'educazione sentimentale di Eugénie

A dirla tutta questo è, a mio parere, il Grimaldi-erotico meno peggio; poverello sotto più d’un aspetto e derivativo a schifo prendendo come modello il buon vecchio Marchese de Sade, il cui filone aureo credo si sia esaurito con Pasolini perché riscrivere il personaggio dopo Salò (1975) è una vera e propria impresa che non è riuscita nemmeno a Švankmajer, non proprio l’ultimo degli arrivati, con Lunacy (2005). Difficile, perciò, che un Aurelio Grimaldi qualsiasi riesca nel declinare al presente la figura del Divin marchese, difficile, già, se non impossibile. Dato poi il contesto vetusto, quella Francia ottocentesca tutta imparruccata, che mi risulta poco attraente per la sua predisposizione alla pomposità, al gonfiare tutto ciò che apertamente dice, dai dialoghi alle scenografie, ero portato prima della visione a pensare L’educazione sentimentale di Eugénie come ad un disastro. Alla fine il disastro c’è, ma a metà… o a tre quarti va’.

Non è che dopo la visione mi sia ricreduto al punto di rivalutare il film, ciò che mi aspettavo ci fosse l’ho trovato, più che altro attraverso l’irrimediabile bruttezza dei personaggi macchiette e della storia insulsa venata qua e là da blasfemia all’acqua di rose, la pellicola riesce a non finire direttamente nel dimenticatoio. Perché gli arcaici scambi di battute che con ghirigori sillabici descrivono le dinamiche sessuali sono una cosa talmente stupida da rasentare la divertente idiozia. Probabilmente non era nelle intenzioni di Grimaldi quella di far ridere, o se sì al massimo di far sorridere, tuttavia ci sono elementi comici che funzionano alla grande: vedere il Marchese provarci a letto col fratello superdotato non ha prezzo. Le risate proprio.
E poi i costumi, le acconciature, il pathos sprigionatosi (eccome no), mi hanno ricordato gli intrighi di Sensualità a corte, opera che ovviamente gigioneggia di meno visto il contesto serio (Mai Dire Gol) in cui viene presentata. A proposito, ho scorto una vaga somiglianza tra Valerio Tambone e Maccio Capatonda, quest’ultimo oltre a condividere la stessa capacità recitative, frequenta con ogni probabilità gli stessi illegali circoletti del Marchese di Dolmancé.

Dicendo che il film si fa passare per la sua essenza fanfarona non significa che si possa far passare tutto. Anzi anzi, il regista commette nuovamente dopo La donna lupo (1998) l’imperdonabile errore di far parlare gli attori in camera, uno stratagemma che aborro con tutto me stesso e che sottovaluta lo spettatore perché è come se un pittore scrivesse sulla cornice il senso della sua opera facendo così sfumare il procedimento di lettura personale che è una delle esperienze culturali più affascinanti. In questo caso di messaggi profondi non se ne potevano dare granché, ma almeno quel poco sarebbe stato meglio non dirlo così chiaramente!
Evitabili le citazioni a De André decisamente fuori luogo a meno che non si fosse voluto omaggiare la città in cui furono effettuate le riprese, Genova, in un palazzo diventato museo che tutto sommato si presta anche bene alla causa.
Gli attori, tutti, trasmettono un senso di rigidità costante nella loro impostazione appesantita dai dialoghi improbabili. Le facce che fa Sara Sartini nel vedere membri al vento sono indimenticabili, Antonella Salvucci, di riflesso, è un nome che 5 minuti dopo avrete già rimosso.
Per quanto concerne il reparto zozzerie gli scaffali sono belli che vuoti, si incensa la lussuria ma è tutto molto contenuto, peccato perché i corpi delle ragazze, per quel che si vedono, non sembrerebbero neanche male…
Mi sto convincendo che l’erotismo su pellicola abbia sempre meno da dire. Ma ha mai detto qualcosa? Domanda sincera, non retorica.

3 commenti:

  1. ha mai detto qualcosda..la bestia di borovcik..o come caspita si scrive..non era male..per il resto,una litania di filmetti inutili

    RispondiElimina
  2. La Salvucci è una *****!!!Nel recitare se stessa non ha bisogno di copioni...

    RispondiElimina