La Warner Bros. ha fatto un gran casino con questo film. Le riprese si sono concluse nel 2007 (come dimostra la tagline di questa locandina) ma per motivi oscuri Trick ‘r Treat non è praticamente mai passato nelle sale pur avendo vinto alcuni premi festivalari, e solo dopo due anni ha visto la luce sugli scaffali americani direttamente in dvd. La Warner non andrà di certo in fallimento per aver perso i ricavi al botteghino, ma chi davvero ci ha perso sono stati gli spettatori che nella notte delle streghe avrebbero avuto l’opportunità di vedere un buon horror piuttosto che l’ennesimo, quanto inatteso, episodio di Saw.Dietro la mdp si posiziona un giovane regista dell’Ohio, Michael Dougherty, qui al suo debutto assoluto come direttore d’orchestra. Ma Dougherty non è uno sprovveduto perché ha scritto le sceneggiature di due superhero film come X-Men 2 (2003) e Superman Returns (2006) entrambi diretti da Bryan Singer che qui si segnala nelle vesti di produttore.
Quello che accade in Trick ‘r Treat non farà sobbalzare dalla sedia: né per la paura né per l’originalità; eppure a dispetto di un’atmosfera “leggera”, quasi da commedia nera, alcuni mostri/vampiri/quelchevolete sono messi al punto giusto per spaventarvi sottilmente. Ed anche la struttura narrativa, non troppo inedita, riesce a discostarsi notevolmente da quello che il buon Sciallis (recensione) definisce una “decameronata ziotibiesca” in quanto le varie storie narrate hanno il pregio di intersecarsi tarantiniamente. Anche se, come sottolinea sempre Sciallis, è doveroso ammettere una certa fragilità nel narrare le vicende di Anna Paquin (compensate però da una consistente dose di tette!) versione Cappuccetto Rosso che si scopre lupo, in cui ho scorto un messaggio subliminale eroticamente allusivo neanche tanto sub che mi ha ricordato In compagnia dei lupi (1984), ma magari me lo sono sognato, anche perché questo non è film dai grandi intenti sottotestuali: ciò che deve fare, intrattenere, lo fa, e lo fa bene. Infatti le storie che vedono protagonisti Dylan Baker (grand’uomo, lo apprezzo dai tempi di Happiness, 1998) e il gruppetto di bambini dispettosi sono squisiti sia dal punto di vista del ritmo che da quello dei tempi comici: mai troppo invadenti, facendo sì che la pellicola non diventi un dozzinale teen horror.
Discorso a parte per la splendida fotografia di Glen MacPherson che immortala alla grande quello che nell’immaginario collettivo è Halloween in una cittadina americana, ovvero: foglie secche trascinate dal vento su viali deserti percorsi da bambini come spiriti inquieti. E questo c’è, insieme a molto altro, vedere la palude nebbiosa da cui affiora il bus per credere.
Vale eccome una visione. Ha il pregio di essere tradizionalmente originale, mica poco eh.



Ooooh, molto ma molto interessante questo film di Aleksej Balabanov (la sua filmografia è parecchio stuzzicante, ci butterò più di un occhio) girato in un bianco e nero virato seppia che ci catapulta dritti dritti nell’eleganza rigorosa della San Pietroburgo di quell’epoca.


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In questo salto mortale all’indietro che inciampa in avanti ci vengono presentate le vite bucoliche di un grumo d’abitazioni sparse fra il mare ed i monti. Ruvidi ritratti agresti di genitori che trattano i figli come bestie, e le bestie come figli. Sospese nel tempo (e nel vento) queste famiglie vivono, o forse non-vivono, la loro esistenza che si ripete inesorabile: il terreno da coltivare, la nascita di un vitello, la costruzione di un muro. I bambini sono gli unici esseri che ancora non riescono a capire, o magari capiscono tutto: uno vuole uccidere ad ogni costo il padre Imam: gli svuota le pillole, apre la finestra di notte per far entrare aria fredda, fantastica di lanciarlo giù da una roccia. Un altro è innamorato della maestra al punto di non lavarsi più il dito sporco del sangue della donna.
La bellezza estetica di Beş Vakit è sconvolgente. Ogni singola inqaudratura è di una profondità difficile da riscontrare in altre pellicole. Sia che la mdp riprenda di spalle i bambini vaganti nelle viuzze pietrose, o che immortali tramonti infuocati, il film non perde la sua cifra poetica che ha un valore aggiunto nella semplicità con cui cattura le cose: il bambino in ombra rannicchiato dentro sé che attende il sole sorgere (foto sotto) è di una delicatezza senza pari.







