Da A Separation era difficile aspettarsi qualcosa che andasse oltre il delineamento della situazione critica con annessi, brevi, approfondimenti emotivo-esistenziali, eppure, se aggrada, alla fine Karin Ekberg propone anche una sorta di piccola morale che chiude la faccenda. Le morali, checché se ne dica, fanno cagare perché evocano tratti parabolici da catechismo, però se il messaggio arriva da un oggettino pregno di intimità e di umiltà, allora l’indotta sentenza irrita di meno. La postilla in sostanza è che: anche se è andato tutto a rotoli, anche se quando chiudi gli occhi prima di addormentarti ti passa davanti una vita intera passata con lei, anche se alla fine ad addormentarti non ci riesci proprio e ti rigiri in un letto singolo che dopo anni e anni di letto matrimoniale ti sembra microscopico, ecco, anche se il destino ha preso una piega del genere, non ti disperare troppo perché ciò che appare sotto le vesti di una spaventosa fine può essere in realtà un meraviglioso nuovo inizio. Con una ellissi temporale che spariglia il mood abbacchiato aleggiante, due spazzolini dentro al porta-suddetti segnano la svolta: chi non aveva speranze le ha magicamente riacquistate in un altro cuore perché l’essere umano è un bel tipo, si strugge, si danna fino a logorarsi, e poi basta un niente per farlo risorgere (con l’ovvio rischio di ricadere in disgrazia, ma all’inizio non ci si pensa per nulla), sicché: che la festa cominci! sembrano dire le ultime immagini le quali, girate non da una che passava di lì per caso, assumono un’increspatura di serenità nell’animo di Karin, un immaginabile dolce arrivederci che è possibile intuire: se loro sono felici, allora lo sono anche io.
martedì 9 agosto 2022
A Separation
Dividersi
gli oggetti rivendicandone una proprietà dimenticata dai più,
gettarne altri (alcuni di un “certo” rilievo: il vestito da
sposa), comprarne di nuovi in base alle necessità di un futuro
sconosciuto ma imminente, Att skiljas (2013) parte da qui,
nella spaccatura ormai insanabile che divide due sessantenni svedesi,
una crepa talmente ampia che la separazione risulta essere l’unica
stuccatura possibile, e Karin Ekberg, figlia dei genitori in procinto
di divorziarsi, riprende i cocci di questa relazione ai calci di
rigore, la sua presenza tende ad una neutralità nei momenti in cui
la coppia è contemporaneamente presente (cogliendo, tra l’altro,
tutto il gelo, l’afasia e il fastidio che caratterizzano la
disaffezione, soprattutto se di lunga durata: “non ci baciamo da
almeno cinque anni”), mentre assume il ruolo di confessore quando
si trova faccia a faccia o con la mamma o con il papà. L’esito è
un documentario povero di mezzi, praticamente un filmino domestico
con qualche intensificazione sonora e qualche innesto video
dall’album di famiglia, ma non sciatto né troppo banale, questo
perché, e probabilmente il fatto che ci fosse un legame consanguineo
tra regista e i soggetti di fronte all’obiettivo ha aiutato,
trasuda una gamma di sentimenti con cui è facile avere feeling per
via di un’innegabile sincerità di fondo, e quindi vedere il padre
mesto e impaurito da ciò che lo aspetta (dei due, è lui ad aver
ricevuto il colpo, e quanto gli duole!) fa un po’ tenerezza, come
osservare la ferma posizione della madre spinge a ragionare sul
perché, spesso, i rapporti sentimentali non funzionano, di chi è la
colpa, se c’è una colpa, chi ha torto e chi ragione, ammesso che
qualcosa di infinitamente complesso come un matrimonio lungo
quarant’anni possa risolversi in maniera netta e dicotomica.
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