La sinossi di Die Frau
mit den 5 Elefanten (2009) è presto detta: ritratto di Svetlana
Geier (1923-2010), una donna di origini ucraine che una volta
trasferitasi in Germania ha tradotto per oltre cinquant’anni testi
della letteratura russa in tedesco, da Tolstoj a Bulgakov per
arrivare all’ultimo compagno di viaggio: Fëdor
Michajlovič Dostoevskij,
l’autore dei cinque elefanti, ovvero cinque corposi romanzi, che
Svetlana in una scena del film osserva con un misto tra
devozione e rispetto (foto in calce). Ma nel suo dispiegarsi il
documentario sa andare ben al di là della questione Geier =
traduttrice, e non poteva essere altrimenti perché questa donna
porta sulla schiena ingobbita il peso e l’orrore della Storia,
delle politiche staliniste, di Babi Yar, delle mitragliatrici della
Wehrmacht, e ciò che Vadim Jendreyko riesce a cogliere è comunque
una lucidità di pensiero incredibile, una raffinatezza e una dignità
che rendono Svetlana una persona bellissima, e non solo perché colta
o perché ha dedicato tutta la sua vita alla cultura, ma anche e
soprattutto perché amorevolmente fragile come tutti gli esseri umani
che sanno pensare, e allora si scorge nella lucentezza del suo
sguardo ottuagenario una tensione mai sopita che il regista cerca di
perforare con domande scomode che scendono giù nella memoria, e
Svetlana non sa che dire, era a conoscenza del fatto che quelli erano
dei criminali ma… a volte le cose succedono e non si riesce a
fermarle.
Jendreyko è “fortunato”
perché durante le riprese del suo film durate un paio di anni sono
successi due eventi molto importanti nella vita della protagonista,
l’infortunio sul lavoro del figlio che lo porterà alla morte e
l’invito della scuola di Kiev che la farà tornare nella terra
natia dopo più di mezzo secolo, sono due momenti distinti ma
interconessi dalle pieghe dello spazio-tempo sicché il figlio da
accudire diventa il padre malato nella dacia e il viaggio in Ucraina,
una porzione di cinema molto intensa carica di significati personali
e politici, riporta Svetlana alla ragazzina che era (“in quel museo
ho visto per la prima volta un quadro”) riappacificandola con una
parte di sé che vagava ancora in un limbo. Credo che Die Frau mit
den 5 Elefanten sia un titolo da guardare con rispetto non per
le sue qualità artistiche che rientrano nell’ordinario quanto per
ciò che nell’estrema semplicità riesce a trasmettere, che è una
lezione di vita commovente, un insegnamento che si propaga dolce in
più direzioni: è probabilmente il film che ogni traduttore dovrebbe
vedere (il modo in cui Svetlana spiega come deve essere fatta una
traduzione è pura poesia) al pari di ogni lettore per provare a
capire quanto lavoro e quanta fatica c’è dietro il libro tradotto
che tengono in mano, ed è anche un film che andrebbe visto da
chiunque perché è un balsamo per il cuore, perché ci vedi dentro
tua nonna che ha fatto la guerra anche se non l’hai conosciuta,
perché la cultura è resistenza, perché tutti vorremmo conoscere
nell’arco della nostra esistenza una signora come Svetlana Geier.
Abbiamo continuato a
sentirci anche dopo la fine del film. Ha partecipato a una prima al
festival Visions du Réel di Nyon e ad altre proiezioni. Poi pian
piano, nel 2010, è diventata sempre più debole e ha trascorso gli
ultimi due mesi a letto. Se ne è andata la notte tra il 7 e l’8 di
novembre. È stata una fine senza sofferenze acute. Come era suo
desiderio, è morta nella sua casa, con sua figlia accanto, tra le
sue cose, la sua tazza di tè, i suoi libri. Pacificamente.
(Vadim Jendreyko da qui)
lo guarderò
RispondiEliminal'ho trovato qui (https://vimeo.com/209873373) con i sottotitoli in francese
ciao
Buona visione allora :)
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