Era giusto vederci più
chiaro nel cinema del signor Angelos Frantzis perché insomma, In the Woods (2010) era stata una visione dall’estetica piuttosto
sconquassante e certi bagliori vanno sempre seguiti, per cui, andando
a ritroso, il primo film di cui si può fare conoscenza è proprio
questo To oneiro tou skylou (2005), ma evidentemente nel
lustro di tempo che ha separato le due opere il regista greco si è
messo sotto a studiare forme e metodi ben più innovativi rispetto a
quanto rintracciabile in A Dog’s Dream dove gli
sconquassamenti sono situati al massimo a livello sceneggiaturiale. E
dire che all’inizio il film si presenta con un discreto biglietto
da visita, Frantzis propone infatti un articolato piano
sequenza che serpeggia nel dietro le quinte di un teatro e che ha una
durata di dieci minuti, i quali, manco a dirlo, per sfoggio tecnico e
per emanazione di tensione misterica sono la cosa migliore della
pellicola, il che è decisamente un problema se poi manca più di
un’ora alla conclusione.
Prologo oltrepassato,
il secondo lungometraggio di Frantzis inizia volutamente a sfaldarsi
dando l’impressione che sia il regista in primis a non
raccapezzarcisi più, sicché si coprono le possibili falle dando
libero sfogo ad una surrealtà che ammira dal fondo della valle le
enormi montagne Lynch e Polański. Nella sua
sarabanda notturna A Dog’s Dream diventa
quasi un oggetto corale poiché la reiterazione, soprattutto
umana, è un elemento che spicca in quanto nello stesso spazio filmico vi è una
reciproca compenetrazione tra realtà e sogno dove pullulano doppelgänger
e dove porte si aprono su dimensioni ulteriori. Però, nonostante la
tendenza nel fornire una musicalità alla storia raccontata
attraverso svariate ripetizioni, invece che lo strutturarsi di una
concertazione la piega di Frantzis diviene col passare del tempo
molto più vicina alla dimensione onirica che a quella del reale, e
ciò potrebbe anche andare bene se non fosse che To
oneiro tou skylou è comunque un titolo narrativo e perciò ci si
aspetterebbe dell’altro rispetto ad un guazzabuglio che pare mosso
da un moto casuale.
Ora, di sicuro non ci
sarà casualità nell’ordito del regista ma è davvero arduo
lasciarsi andare nel frullato di situazioni offerte né si riesce ad
accettarle con troppa acquiescenza. Ad ogni modo,
nell’imperante confusione si staglia alla fine una significazione
complessiva, trattasi di un ipotizzabile adattamento moderno della
Bella Addormentata traslato nella contemporaneità (il sonno è un
coma) e spruzzato di un sentimentalismo fortunatamente non così
accentuato. Il fatto è che anche constatati tali sviluppi
scritturiali, nel film non si registrano mai delle auspicabili
imbeccate che possano favorire perlomeno alla costruzione di un
senso. E siamo sempre lì: se un cinema ha la necessità di esporre
il proprio eventuale senso per mezzo dei meri passaggi tramici che lo
costituiscono allora preparatevi ad ingoiare la solita sbobba e a non
partecipare attivamente nemmeno per un secondo alla proiezione. E
dire che A Dog’s Dream non è una produzione di routine, ma
c’è un abisso tra il voler fare ricerca (cosa che Frantzis farà
nel suo lavoro successivo) e il cercare di ravvivare un andamento
balbettante ingarbugliando passo dopo passo tutta la vicenda.
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