Se
avessi letto la sceneggiatura di Thelma
(2017) prima dell’effettiva visione avrei bollato l’operazione
troppo ardita nel mero comparto tramico: religione, amore saffico,
sensi di colpa, superpoteri che sembrano provenire da un Cronenberg
80’s, no, il frullato sulla carta non avrebbe
potuto funzionare, a meno che la trasposizione in scena della pagine
scritte dal sodale Eskil Vogt (il suo Blind
[2014] possiede la tendenza non dissimile di affacciarsi
sull’irrazionale) non fosse stata esposta con grazia estetica e
finezza autoriale tali da rivalutare una sinossi parecchio audace. Se
Joachim Trier sia riuscito in pieno nell’intento di rendere “serio”
un film che rischiava di impantanarsi nel basso genere è una cosa di
cui non sono riuscito a farmi un’idea definita, al contempo però
trovo che il lavoro svolto per nobilitare la storia valga ben più di
qualche complimento, ma del resto Trier è regista che ha già
dimostrato un discreto valore anche quando si è misurato con un
prodotto più esportabile e a mio avviso fin troppo sottostimato
(Segreti di famiglia,
2015). Sicuramente i due norvegesi si sono impegnati oltremodo per
complicarsi la vita, la scelta di approdare nei territori del
thriller soprannaturale li ha spinti a dare una coerenza narrativa a
quanto raccontato, le spiegazioni ci sono, il che è un dato
importante poiché il cinema non necessita di chiare decifrazioni, ed
essendoci schematizzano forse più del dovuto ciò che si vede,
rielaborando la proiezione sembra, almeno al sottoscritto, che tutto
si possa governare con agilità: abbiamo l’eziologia del disturbo
(la nonna, inserita con un pelo di forzatura), i connotati del
disturbo stesso, i perché e i percome (ah, l’incipit) ed una
tessitura sentimentale il cui meccanismo, va detto, è comunque
intrigante.
Sintetizzando,
Thelma è
foriero di una lettura maggiormente semplice rispetto al primo
possibile impatto, chi può considerarlo un punto a sfavore di Trier
lo tenga ben presente prima di affrontare la pellicola. Evidenziato
suddetto aspetto, non nego che comunque nelle pressoché due ore di
girato l’attenzione di chi guarda è sempre saldamente nelle mani
dell’opera che ha un ritmo suo, a metà strada tra un blockbuster
di qualità e un oggetto sommerso, oltre ad una capacità di vivere su
strappi visivi molto energici che ci fanno alzare di un poco
l’asticella dell’ammirazione verso Trier, mi riferisco alle
sequenze di natura incerta che si svolgono in quel limbo mentale
tracimante nel reale dove spicca un gran bel gusto formale e dove
delle Immagini si salvano automaticamente nella nostra memoria: il
serpente tentatore che striscia nella bocca di Thelma e la ripresa
subacquea in cui la ragazza pare nuotare in un oceano oscuro sono
solo i primi due esempi che sovvengono in un film punteggiato da uno
stile che banalmente si può stabilire così: piacevole. Per una
sensibilità personale ho trovato un’affinità superiore con gli
esordi dello scandinavo, Reprise
(2006) e Oslo, August 31st
(2011), dove il tono seppur minore trasudava una drammaticità
sentita,
tuttavia bisogna riconoscere che nel prosieguo professionale, pur sconfinando in
altri territori, il buon Joachim ha mantenuto una discreta continuità tematica (cfr.
ancora il film “americano” del 2015), infatti Trier è notevolmente
attratto dalla polveriera che si può nascondere in una famiglia, qui
se accettiamo la boutade del paranormale la tragedia nel focolare è
bella spessa e nel picco parossistico ha anche un’istantanea
luttuosa che non si era mai vista al cinema (la silhouette del
neonato sotto il ghiaccio fa male), e, di nuovo sul versante
parentale, è azzeccato il contrappasso incendiario che subisce il
padre sulla barca.
Nel complesso, a prescindere dallo slancio azzardato nel fantastico e
ad un apparente arzigogolamento del plot, si palesa una competenza
talmente di livello da interrogarmi se in Italia sia possibile
produrre manufatti con una cifra internazionale egualmente vendibile
all’estero, non so se sono vittima della sindrome “il compito del
mio vicino di banco è sempre migliore del mio” o se l’esterofilia
che volenti o nolenti ci suggestiona abbia un peso decisivo in
termini di fascinazione, ma fatico ad immaginare che su un Thelma
qualsiasi possa campeggiare il tricolore italico...
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