Nella campagna ungherese
lo schiavismo va ancora di moda.
Nessuno conosce questo
Attila Till, il regista di Csicska (2011), cortometraggio
approdato anche a Cannes ’11, ma solo che al vedere le locandine e
qualche immagine degli altri suoi due film si può dedurre una
potenziale verità perché a volte l’abito fa il monaco: Till è un
regista commerciale. Punto. Da siffatta constatazione è difficile
che possa germogliare un cinema interessante poiché certe tendenze
non si piegano, nemmeno quando si tenta una via più “autoriale”.
Perché Beast non è ovviamente una favola della buonanotte,
eppure, nonostante si muova in una zona di crudele disumanità,
finisce per assecondare le necessità di uno spettatore superficiale
visto che punta tutto quello che ha da dire sullo shock immediato.
L’impatto della violenza gratuita è l’obiettivo a cui Till tende
e che indefessamente raggiunge, è vero che nel contenitore del corto
non si può pretendere chissà cosa da un approccio narrativo, come è
anche vero che dopo centinaia e centinaia di visioni si fa un po’
il callo ad una brutalità che non è capace di travalicare lo
schermo e che si registra passivamente come i delitti cronachistici
del tg. Mi si taccia pure di insensibilità davanti ad un tizio
ucciso per niente, io per risposta rivolgerò sempre e comunque lo
sguardo altrove, in luoghi filmici a più elevata intensità.
Beast condivide
con un altro film ungherese la trattazione della schiavitù al giorno
d’oggi, mi riferisco all’inguardabile Mirage (2014) di
Hajdu dove di nuovo uno spietato fattore sottometteva dei poveri
cristi. Due indizi non saranno una prova ma è plausibile che in
certe zone del territorio magiaro il mondo civilizzato non sia ancora
arrivato (ma con il “nostro” caporalato siamo sicuri di poterci
sentire così socialmente progrediti?), e qui si sostanzia l’unico
valore di un lavoro del genere, ovvero il farci conoscere una
possibile realtà del mondo contemporaneo, ed è un pregio che poco
ha a che fare con la materia cinema, che gli uomini (intesi proprio
come sesso di appartenenza) possano essere così meschini da
annullare le vite di altre persone, anche famigliari, è purtroppo un
dato strarisaputo che quotidianamente aggiunge una nuova pagina al
proprio libro nero, che almeno la settima arte abbia la forza di
dircelo in un modo più congruo al nostro bisogno di percepire un
buon film.
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