mercoledì 10 gennaio 2018

Beast

Nella campagna ungherese lo schiavismo va ancora di moda.

Nessuno conosce questo Attila Till, il regista di Csicska (2011), cortometraggio approdato anche a Cannes ’11, ma solo che al vedere le locandine e qualche immagine degli altri suoi due film si può dedurre una potenziale verità perché a volte l’abito fa il monaco: Till è un regista commerciale. Punto. Da siffatta constatazione è difficile che possa germogliare un cinema interessante poiché certe tendenze non si piegano, nemmeno quando si tenta una via più “autoriale”. Perché Beast non è ovviamente una favola della buonanotte, eppure, nonostante si muova in una zona di crudele disumanità, finisce per assecondare le necessità di uno spettatore superficiale visto che punta tutto quello che ha da dire sullo shock immediato. L’impatto della violenza gratuita è l’obiettivo a cui Till tende e che indefessamente raggiunge, è vero che nel contenitore del corto non si può pretendere chissà cosa da un approccio narrativo, come è anche vero che dopo centinaia e centinaia di visioni si fa un po’ il callo ad una brutalità che non è capace di travalicare lo schermo e che si registra passivamente come i delitti cronachistici del tg. Mi si taccia pure di insensibilità davanti ad un tizio ucciso per niente, io per risposta rivolgerò sempre e comunque lo sguardo altrove, in luoghi filmici a più elevata intensità.

Beast condivide con un altro film ungherese la trattazione della schiavitù al giorno d’oggi, mi riferisco all’inguardabile Mirage (2014) di Hajdu dove di nuovo uno spietato fattore sottometteva dei poveri cristi. Due indizi non saranno una prova ma è plausibile che in certe zone del territorio magiaro il mondo civilizzato non sia ancora arrivato (ma con il “nostro” caporalato siamo sicuri di poterci sentire così socialmente progrediti?), e qui si sostanzia l’unico valore di un lavoro del genere, ovvero il farci conoscere una possibile realtà del mondo contemporaneo, ed è un pregio che poco ha a che fare con la materia cinema, che gli uomini (intesi proprio come sesso di appartenenza) possano essere così meschini da annullare le vite di altre persone, anche famigliari, è purtroppo un dato strarisaputo che quotidianamente aggiunge una nuova pagina al proprio libro nero, che almeno la settima arte abbia la forza di dircelo in un modo più congruo al nostro bisogno di percepire un buon film.

Nessun commento:

Posta un commento