mercoledì 21 settembre 2016

Free Fall

Non il tributo nostalgico di Final Cut (2012) e nemmeno la ricerca sul realismo di I Am Not Your Friend (2009), dobbiamo tornare più indietro per trovare un Pálfi assimilabile a quello di Szabadesés (2014), precisamente al film-porta che lo fece conoscere al mondo: Taxidermia (2006), forse nemmeno: Free Fall è un’altra cosa ancora, decisamente inferiore. Coadiuvato dall’inseparabile penna di Zsófia Ruttkay, il film dell’ungherese è, come potrete leggere in ogni recensione disseminata nel Web, un collage di ritratti bislacchi dove il nonsense tiranneggia, il punto è che ciò a cui assistiamo una volta al cospetto di Szabadesés è esattamente questo: una carrellata a compartimenti stagni di assurdità. Sì, potrà esserci il fil rouge dell’anziana condannata alla vita che nel suo dantesco precipitare-risalire-precipitare è testimone involontaria dell’illogicità che fonda il palazzo (d’altronde è lei stessa la protagonista di una faccenda alquanto curiosa…), ma è sufficiente? Voglio dire, è potenzialmente interessante una struttura narrativa che prospera nei frammenti, a patto però che il demiurgo di turno sia in grado di fornire un collante sotterraneo al proposito. E, per quanto mi riguarda, ritengo che Pálfi qui non ci sia riuscito.

Che il magiaro sappia fare il suo mestiere è fatto noto, e che abbia avuto fin dagli albori una tendenza a mettere in campo idee fuori dal comune anche (il lontano Hukkle [2002] ce lo ricorda), con Szabadesés l’impressione è che abbia dato più che altro sfogo ad una serie di situazioni che covava da tempo ma che non era riuscito ad inserire nei suoi film precedenti. Indubbio che almeno due circostanze accendano la nostra attenzione, e ovviamente mi riferisco alla scenetta con la coppia rupofobica o a quella folle, ma davvero folle, del parto all’inverso, e c’è da dire che presi di per sé i due segmenti appena citati possiedono anche una discreta cavità argomentativa, tuttavia il problema è ubicato proprio nella loro estrema indipendenza reciproca, funzionano di più, anzi, funzionano solo così, perché se posti uno di fianco all’altro finiscono per divenire una fastidiosa sequenza onanistica di insensatezze. Per di più Pálfi oltre a mancare sul piano del raccordo complessivo, ad esclusione delle parentesi summenzionate non convince affatto nelle restanti porzioni squadernando una diffusa debolezza: non c’è forza, appeal, studio, nel rimbalzo tra un guru che insegna (non sufficientemente bene) ai suoi discenti ad attraversare i muri, e una festa di musicisti con la donna nuda (forse) metafora, per non parlare dell’intermezzo in salsa sit-com che probabilmente vorrebbe stigmatizzare il genere ma che fatica come una bestia nell’intento. Un film fatto di continue sconnessioni dunque, quasi fastidioso nel non volersi curare di fornire un abbraccio saldante, incapace di nascondere la probabile miccia che ha acceso i suoi autori: infilare una sfilza di stramberie a costo di fare un film.

5 commenti:

  1. Guarda il caso, son tornato da poco dalla proiezione di Free Fall con collegamento Skype a fine visione con Palfi stesso.
    Io ho gradito, il film come ha spiegato l'autore è stato commissionato da una compagnia sud coreana, il film doveva essere completato in soli 6 mesi(post produzione compresa). Vi sono diverse idee che Palfi ha messo insieme di fretta,la scena della vecchia che cade dice di averla messa dentro alla fine, e a detta sua lo ha concepito come 7 film diversi. Sicuramente non un Palfi personale ma neanche da buttar via.

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  2. E dove sarebbe avvenuta questa proiezione? Sono curioso!

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  3. a Londra.....scusa non ho specificato.

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  4. molto bella, fa parte di un programma di proiezioni di registi dal centro-est europa, la prossima è We are never alone di Petr Vaclav(Rep.Ceca).

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