sabato 13 agosto 2016

The Lost Town of Switez

Basato su un poema del più importante letterato polacco di sempre (così si dice in giro), Adam Mickiewicz, The Lost Town of Switez (2010) è un cortometraggio animato con alle spalle la produzione della National Film Board of Canada, semplicemente la migliore casa produttrice al mondo di animated short movie. L’esordiente Kamil Polak si impegna parecchio a sfruttare i soldi messi a disposizione dai canadesi riempiendo la tela con una pittura ibrida, esatta trasposizione del film in sé: adattamento del poema ottocentesco (e infatti abbiamo dei classici dipinti ad olio) in una veste moderna (ed ecco la tridimensione). La condizione crasica che si viene a formare ha un andamento sinusoidale: in certi frangenti sembra proprio che lo Sturm und Drang si impossessi dello schermo e che viri e che sprofondi in una altalena di colori saturanti, sia nella maestosità delle scene di massa che nei volti dai lineamenti vergati a china degli anziani e delle donne in bianco, ma in altri frangenti fa capolino una strana stonatura che riguarda essenzialmente il protagonista (3Dizzato), in poche parole i suoi movimenti e i suoi tratti somatici (praticamente un bambolotto di The Sims) non si amalgamano con lo scenario circostante, se l’effetto era voluto, come a dimostrare la differenza temporale tra i personaggi, non mi pare sia venuto bene, se è un errore, è un errore evidente.

A parte questa impasse estetica, magari soltanto una pignolereia del sottoscritto, Switez potrebbe stuzzicare chi preferisce l’onirismo alla linearità, infatti la città perduta che il titolo decanta è un luogo fantasmatico che l’uomo vede e vive come da osservatore partecipante (lo stagno in cui cade è dove un tempo sorgeva Switez? Mah!), e qui Polak dà sfogo alla fantasia infilando sequenze, visioni, tagli, dalla sostanza epica, wagneriana, una piccola rapsodia che accarezza Tolkien e che va oltre: una scena flasha: con un movimento verticale le icone della chiesa si smaterializzano, anzi si geometrizzano in un procedimento inintelligibile, e l’ascensione prosegue arrivando proprio Lassù, tra una legione di angeli e un segno divino, a sigillo di una progressione al confine tra il kitsch e la muta ammirazione. Musiche onnipresenti di Irina Bogdanovich.

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