Bullismo in una classe estone. Si va oltre. Finisce in tragedia.
L’aura di cult che circonda Klass (2007) non verrà sminuita dalle poche righe seguenti, righe che in partenza vogliono riconoscere i meriti del regista Ilmar Raag e che successivamente si fanno semplice monito, un avvertimento sulle mancanze di un’opera apertamente grezza che punta praticamente tutto quello che ha sull’autenticità del mettere in scena un fatto di cronaca nera. È apprezzabile la preferenza di Raag nell’adoperarsi diligentemente in una ricerca di totale realismo che in effetti dà i suoi frutti: non solo le riprese traballanti frutto di tanta camera a mano conferiscono un tono di verità, ma è proprio la ricostruzione del contesto scolastico con tanto di giovani attori alle prime armi coinvolti in dinamiche verosimili (la legge del branco; l’omertà generale; l’influenza del “capo”) che ricrea una realtà credibile, uno sfondo non posticcio dove è agevole sedersi fra i banchi dell’aula e assistere impotenti alle “sottili” ma atroci angherie che Joosep deve subire.
I maltrattamenti che i membri della classe capitanati dallo sbruffone di turno compiono nei confronti della vittima rientrano nel campionario bullistico di tutte le scuole del mondo (qualche dubbio di artificiosità su ciò che accade in spiaggia) e c’è da ammettere che in questo modo la strage conclusiva ha delle premesse che dal punto di vista della coerenza sceneggiaturiale legittimano la furia omicida dei due giovani. Ad intaccare la vigorosa prestanza del film ci si mettono delle cadute di stile difficili da non notare, delle ingenuità anche puerili che partono da una discutibile colonna sonora e da un altrettanto discutibile uso che se ne fa, ma i veri inciampi si palesano in alcune scelte stilistiche che non hanno convinto per niente il sottoscritto: chissà perché Raag si intestardisce durante le scene concitate nell’uso del ralenti neanche stesse girando un vecchio western, il che ci obbliga a sopportare l’enfatizzazione di alcune sequenze (anche quella della fellatio) che subiscono un effetto inverso di quanto volevano ottenere: finisce la realtà, inizia la finzione, insieme anche a qualcosa di poco nobile come può essere il ridicolo involontario. Sembrano dettagli di poco conto, non lo sono: visto che nel crudele finale Raag continua a piazzare questi accorgimenti, ad un ripensamento post-visione emerge di come alcune opzioni di metodo inficino il raggiungimento dell’obiettivo, quella rappresentazione di un dramma giovanile che a conti fatti si rivela depotenziato da accenti espressivi che mal si coniugano con il registro generale, la tragedia, che innegabilmente c’è, è rintracciabile in molti altri film che si sono posti simili finalità, qui permane più che altro il fascino esotico della pellicola straniera.
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