venerdì 8 aprile 2016

Futures Market

Quando gli dei vogliono aiutare i mortali mettono i sogni nelle loro teste, e quando invece vogliono punirli fanno in modo che i sogni divengano realtà.

Atipico documentario spagnolo diretto da Mercedes Álvarez, regista da tenere sott’occhio, che effettua un’analisi sulla crisi globale tramite un approccio multidisciplinare che mescola economia, filosofia e sociologia, tutte materie ricondotte nel contenitore cinema per il quale la Álvarez riserva un soddisfacente tatto visivo. Mercado de futuros (2011) non contempla didascalie e quindi è più che mai compito nostro rintracciare il senso d’insieme: si parte con lo smantellamento di una vecchia casa dove una ditta specializzata recupera le varie cianfrusaglie disseminate nell’abitazione e le stipa all’interno di alcuni camioncini, subito dopo la mdp si intrufola in una specie di fiera dell’immobiliare altolocato carpendo le conversazioni degli addetti ai lavori o di quest’ultimi che parlano con i possibili clienti; le offerte sono rivolte ad una imprenditoria di livello, si parla di Dubai come il Paradiso su cui adesso vale la pena investire o di sconfinate spiagge limitrofe pronte per essere urbanizzate; è evidente che la vicinanza tra lo smembramento della casa precedente e l’immediata penetrazione in un business con cifre da capogiro provochi una contrapposizione che verrà anche riproposta in seguito e che diventerà il cuore dell’opera: vedremo delle bambole appartenenti a quell’appartamento ammucchiate per terra e vendute all’asta, mentre successivamente, durante una conferenza, verrà esaltata la figura della Barbie come modello di profitto; e ancora: se nella city, in un ufficio simile ad un girone infernale, agenti di borsa e broker (sono sinonimi?) si affannano a vendere e/o comprare azioni, titoli o chissà quali altre diavolerie, al contempo in un rione periferico un rigattiere classe 1918 espone la sua merce senza però riuscire a concludere nessun affare.

Il motivo portante del film è questa discrepanza tra un pensiero votato al raggiungimento del massimo profitto (gli stralci dei congressi sono degli indottrinamenti in questa direzione) tanto che i risultati si riscontrano nelle proposte lussuose di un turismo a cinque stelle (palafitta nell’oceano con pavimento in vetro, quattrocento dollari a notte), e una condotta esistenziale che si accontenta delle briciole, della compravendita con pochi zeri, dell’autosostentamento (un contadino e il suo piccolo polmone verde nel cuore della città). Poi ci sono anche dei rigagnoli che si allontanano dall’antitesi illustrata per concentrarsi in elucubrazioni sul tempo e sulla memoria che donano sì un tocco naif all’opera ma che forniscono anche una somministrazione di informazioni così ampia da lambire la vaghezza, a queste si aggiunge un profuso soffermarsi su ogni scena portando il minutaggio a sfiorare le due ore, non bisogna spaventarsi però, Futures Market raggiunge l’accordo fra disamina del sistema e studio artistico. Lo spirito d’iniziativa è lodevole.

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