venerdì 15 aprile 2016

Der Verdacht

Il marito viene sospettato dalla comunità di aver ucciso una giovane ragazza, la moglie vuole credere alla sua innocenza.

La prima constatazione, banale come tutte le prime constatazioni, è che, visto l’assunto su cui si poggia, Der Verdacht (2008) di Felix Hassenfratz avrebbe potuto “dare” molto di più se il contenitore fosse stato quello del lungometraggio. Questo giovane regista tedesco intesse la struttura narrativa affidando alla coppia protagonista il compito di trainare la storia, attraverso la freddezza di lui, l’ambiguità del comportamento e il sentimento incondizionato di lei si dovrebbe costruire mattoncino dopo mattoncino un impianto thriller a cui non si chiede la soluzione bensì l’estensione di un filo tensiogeno che avvolga il film, succede però che l’occhio di bue che illumina l’uomo e la donna palesa un’evidente difficoltà a scendere sotto la superficie delle cose e l’effetto immediato è una banalizzazione di concetti che sulla carta avrebbero il compito di fornire sussistenza teorica: si veda la frettolosità con cui viene affrontata la sfera sentimentale con relativa poca credibilità alla cecità amorosa di lei, senza dimenticare un debole rimando a problemi famigliari che avrebbero visto un atteggiamento ostile del padre della ragazza nei confronti del panettiere poiché non originario del luogo, anche qui la tematica è presa e piazzata lì senza un approfondimento degno, collage sequenziale per delineare un percorso artefatto.

Non va granché bene nemmeno l’idea che il giudizio di un intero paese possa sentenziare la colpevolezza di un imputato a prescindere dalle prove pesanti a suo carico. Manca una cappa oppressiva e discriminatoria nei riguardi del presunto reo, la comunità come Giudice non funziona anche perché di essa ci vengono mostrati pochi componenti (solo quelli che cantano nel coro religioso), di conseguenza la morsa accusatrice non stringe quanto potrebbe. Ad Hassenfratz non chiediamo di essere Vinterberg né, dato il contesto teutonico, Haneke, chiediamo però almeno il compimento delle ipotesi: può andare bene lasciare chi guarda nel dubbio amletico del “è stato lui/non è stato lui”, oltre alla mera patina investigativa permangono delle falle, sia negli intrecci psico-sentimentali che vedono la moglie fervente sostenitrice dell’innocenza, sia nella collettività come tribunale che non concede possibilità di appello.

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