giovedì 15 ottobre 2015

Instead of Abracadabra

Un ragazzo piuttosto grandicello coltiva la passione della magia, nel frattempo la vicina-sexy-infermiera lo assolda per animare il compleanno del figlio.

Leggerezza scandinava, usando una litote potremmo affermare che Istället för abrakadabra (2008) non è male: il cortometraggio dello svedese Patrik Eklund sa trasmettere un senso di gradevolezza che appaga, e probabilmente tale piccola soddisfazione è figlia di una struttura portatrice di limpidezza nei personaggi, i quali nella loro monodimensionalità sguazzano che è un piacere, il nostro; difatti per tutta la durata del film nessuno di essi cambierà il proprio “modo d’essere”, nemmeno il padre cederà ad un cambiamento, anche una volta constate le abilità di Thomas l’uomo non mancherà di proferire al figlio due paroline ben poco magiche come… centro per l’impiego. Stesso discorso vale per la mamma (accondiscendente da e per sempre), la vicina di casa (semplicemente la sventola di turno), e ovviamente per Thomas, pennellone stralunato dal cuore di bambino, e l’ultima scena è lì a confermarcelo. Questa caratterizzazione dei singoli non diventa, per quanto ne potrebbe pensare qualche maligno, un’arrugginita stereotipizzazione, Eklund riesce ad armonizzare il teatrino caratteriale, così il fatto che lo spessore sia latitante non pesa alcunché. Poi insomma non bisogna essere particolarmente eruditi in materia per capire che gli ingressi comici, sebbene quantitativamente esigui, siano efficaci e l’indicatore migliore per misurarli è il sorriso che scopre i denti di chi sta di fronte allo schermo; riuscito lo stacco in ospedale appena successivo allo spettacolino casalingo, cosiccome il flashback del fiore-assassino che tra l’altro evita al corto di scivolare sul mellifluo, anche se la vera trovata che resterà impressa nella mente dello spettatore è la formula magica di Thomas che puntualmente viene travisata, da chimay in shemale.

L’unico interrogativo che nasce dalla visione di Instead of Abracadabra non riguarda l’opera in sé bensì la vetrina a cui ha potuto accedere, francamente una nomination all’Oscar per un prodotto sì caruccio e ben impacchettato ma comunque esile e dall’immediato esaurimento, appare un’esagerazione: o in quell’annata vi fu una tale penuria di corti da inserire a forza quello di Eklund, o per l’ennesima volta dobbiamo fare i conti con l’AMPAS i cui criteri di valutazione contemplano un concetto di qualità leggermente diverso dal nostro.

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