mercoledì 28 ottobre 2015

Dennis

Bisogna mettersi d’accordo: valutare Dennis (2007) isolatamente, come singolo pezzo della filmografia di Mads Matthiesen, o considerarlo mattoncino propedeutico a Teddy Bear (2012), lungometraggio d’esordio che ritesserà le fila esistenziali qui appena toccate del bodybuilder mammone interpretato da Kim Kold (vero culturista danese che dal 2007 in poi ha scelto la strada del cinema). Nel dubbio propendo di più per il giudizio slegato da un seguito che probabilmente al tempo non era stato nemmeno messo in conto da Matthiesen. E allora rendiamo noto qual è il concetto che sta allo zoccolo di tutto e che si recepisce in men che non si dica: iniettare il Siero dell’Umanità (e quindi un concentrato di sensazioni che comprendono necessariamente l’amore) in un corpo anomalo, un monte di muscoli e vene tipo superstrade che arano la pelle glabra e tatuata, rendere dunque quest’uomo davvero un uomo e non un involucro di rilievi pompati sull’orlo dell’implosione. L’intento è lodevole e Matthiesen accentua la dimensione emotiva del protagonista affiancandogli una madre che non ha ancora reciso il cordone ombelicale; si fa così leva sul contrasto: la personalità di Dennis non corrisponde all’imponente fisicità che mostra sicché di fronte ad eventi puerili preferisce mentire (sia alla madre che alla ragazza dell’appuntamento), e da qui le situazioni incresciose lo portano a masticare (si presume) per l’ennesima volta il boccone amaro della sconfitta lenita, come no!, dal ventre materno sempre pronto ad accoglierlo.

Problema vero è che l’idea-base, una volta intesa (e ciò accade da subito), si esaurisce con rapidità e non lascia nulla di scoperto; la fragilità di Dennis è sotto i riflettori del palco e a film concluso ecco palesarsi l’insabbiamento teorico del cortometraggio eretto su questa benedetta antitesi muscolo vs. cuore che non appare particolarmente pregna, non foss’altro perché oltre ad essa è arduo rintracciare un precipitato soddisfacente, ed è meglio tacere, poi, sui riferimenti paterni messi lì per instillare dello psicologismo edipico di cui non si sente mai la mancanza. L’Idea è sempre accettata con benevolenza, a volte basta lei da sola, altre volte c’è bisogno che venga ispessita da una serie di componenti che una volta giunti in fondo possano farci parlare di cinema a testa alta, ma temo proprio che non sia questo il caso.

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