PVC-1 (2007), per
impostazione e realizzazione, è stato uno dei film più
fottutamente esaltanti che il sottoscritto abbia mai visto. Ad un
lustro di distanza il regista greco (di madre colombiana) Spiros
Stathoulopoulos ritorna in scena con Metéora (2012), ma è
tutta un’altra storia: se nella folgorante opera prima i livelli di
adrenalina raggiungevano picchi clamorosi grazie ad un’adesione
pressoché totale al reale, qui la via di trasmissione scelta è
distante eoni dal piano sequenza e dalla sua capacità di farci
assorbire dal e nel film; si naviga per antitesi, Stathoulopoulos
sceglie una via pseudo-contemplativa con camera fissa, campi
lunghissimi, dialoghi risicati ed astratti. Viene quasi da dire che
PVC-1 sia il film riguardante la seconda parte della sua infanzia
poiché all’età di otto anni si trasferì in
Colombia con la famiglia, mentre Metéora incarna il primo
periodo della sua vita, dalla nascita (avvenuta a Salonicco) alla
partenza verso il Sud America.
Vi è una buona
percentuale di disorientamento nell’assistere ad un cambio di rotta
così smaccato, superata l’impasse si può prendere
nota di qualche elemento: sicuramente Stathoulopoulos è uno
che ha studiato e che sa rendere un set l’occasione giusta per
lasciare un segno, soprattutto (e qua c’è la conferma) sul
piano visivo perché Metéora si plasma negli interni del
monastero a lume di candela combinati a riprese esterne di forte
impatto. Buona parte del merito va alla location in sé che è
davvero straordinaria (si tratta del complesso ortodosso situato
nella regione della Tessalia), ma i meriti non possono andare
soltanto a Madre Natura visto che il regista sa cogliere ed
implementare la bellezza del luogo attraverso scorci e prospettive
affascinanti. Non ci si ferma all’apparato
paesaggistico/fotografico però, Stathoulopoulos sperimenta e
inserisce nella diegesi un’animazione iconografica, proprio come se
delle icone religiose prendessero vita, che ovvia brillantemente a
delle difficoltà tecniche (quale modo migliore per illustrare
un mare di sangue [tra l’altro il passaggio più ardito del
film] o un orso inferocito?) e che ben si innesta donando un tocco di
originalità.
Che cosa manca allora?
Possibilmente tutto il resto, o meglio quello che più preme:
questa infatuazione tra il monaco e la suora dirimpettaia non si
accende, ma, e ora rischiamo di finire in un circolo vizioso, è
Stathoulopoulos stesso che non sembra affatto interessato ad aizzare
tale sfera sentimentale, e al contempo il possibile nucleo di tutto,
lo scontro amore-fede, la carnalità versus la spiritualità,
viene appena sfiorato (c’è solo una sequenza dove in un
crescendo di campane si intuisce il potere inquisitorio del convento
verso la suora) sviando altrove, anche oltre la desacralizzazione
(solo una pala che alla fine ha “smarrito” i due soggetti
laterali) e la blasfemia (ci si può indignare per due
religiosi che copulano? Ma andiamo!), specchiandosi nello stile
(senza infastidire) e celebrando la geografia. Uno ieratico
Stathoulopoulos (ieraticamente concentrato dall’inizio alla fine ad
esclusione della sequenza in cui viene sventrata una capra) regala
Immagini, cellule indispensabili del mosaico-cinema, non ce lo
aspettavamo in modo così potente tanto che la sorpresa ripiana
le eventuali mancanze. Adesso pare che si sia stabilito a Los Angeles
e che voglia girare in America, noi, manco a dirlo, lo attendiamo ad
occhi ben aperti.
"PVC-1" è davvero un film come pochi, bellissimo è dire poco, avevo visto che questo era a Berlino l'anno scorso, non me ne priverò:)
RispondiEliminaIl trailer, a chi interessa: http://www.youtube.com/watch?v=5MHPG_itiYQ
RispondiEliminae come ricorda un commento sotto il video, le musiche sono molto belle.
Questo me l'ero segnato anch'io, ma prima di aver visto PVC-1. Se è bello anche solo la metà del precedente, mi entusiasmerà non poco.
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