martedì 21 agosto 2012

L'uomo che piantava gli alberi

Film fatto di vento: L’homme qui plantait des arbres (1988) soggiace con grazia sopraffina alla possanza della narrazione, una narrazione che trae vita dall’omonimo testo di Jean Giono, scrittore francese morto nel 1970, le cui parole accolgono l’immagine e non viceversa, perché è proprio il racconto in prima persona che si avvale di un supporto meraviglioso come la matita del canadese nato in Germania Frédéric Back. È un profluvio incessante di china quello a cui si assiste, mirabolante esempio di animazione equilibrista sul crinale di un rilievo che prima punta all’essenzialità (i contorni inesistenti, la bicromia), e subito dopo all’impatto visivo con cascate fluenti e ininterrotte di guizzi estetici (gli esempi si sprecano, ma la descrizione degli autoctoni del deserto è semplicemente straordinaria). È bellissimo prendere atto di una propria intromissione nel racconto da parte di Back, il suo lavoro esalta alla grande lo storytelling nostalgico, magico e buzzatiano che a sua volta si sposa delicatamente col tratto crepuscolare del disegnatore.

Mosso da una forte vibrazione gnoseologica non dissimile, parer mio, da Faust (2011): la messa in scena dell’uomo denudato della sua scienza e scaraventato sul baratro della vera conoscenza per Sokurov, la rappresentazione dell’uomo che attraverso la propria conoscenza, piccola e limitata, si parifica all’esercizio Divino per Giono, il corto è suddiviso in due metà laddove la prima delinea lo stato di aridità umana e non che permea quella zona alpina, mentre la seconda, che giunge gradatamente, è antitesi complementare che sancisce la fioritura, la rinascita, non solo del luogo, ma anche di chi lo abita, e le guerre superate, qui giustamente citate, chiudono uno dei tanti capitoli della nostra abominevole razza.

Film, quindi, fatto di ruscelli, del suono delle onde che dolcemente si sdraiano sulla sabbia, del calpestio dell’erba: Elzéard Bouffier, uomo come tanti eppure come nessuno, semina alacremente la speranza, dona felicità ai suoi simili, e allora, con quelle palpebre appena accennate che si chiudono per sempre, un ultimo pensiero si erge sugli altri: prima di credere in Dio, crediamo nell’Uomo.

2 commenti:

  1. Capolavoro visto: il vento lo senti attorno, le carezze del pennino, il calore dei colori ti dipingono l'anima, la pacatezza e la saggezza di Elzéard commuovono e il cuore si riempe di speranza...

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