mercoledì 4 luglio 2012

Michael

- Questo è il mio coltello e questo è il mio cazzo. Cosa vuoi dentro di te?

È ancora una volta il cinema austriaco a mostrare con classe sopraffina la purulenza che attanaglia la nostra razza, il sepolcro imbiancato del vicino di casa, il cuore ammorbato dal male. Michael (2011) è senza vie di mezzo opera tanto nauseante quanto scomodissima che col suo taglio distaccato non si prepone di stigmatizzare: la cifra esterna che sostanzia la storia lascia allo spettatore gli oneri del giudizio; dunque, non un film su o contro la pedofilia, piuttosto un film dentro la malattia, nell’atto quotidiano di una (s)cena, nel gesto calcolato atrocemente minimizzato, nello sguardo implorante.
I presupposti su una pellicola che si occupa di un tema così scabroso implicano una chiarezza dei ruoli che non ammette fraintendimenti: l’aguzzino e la vittima non possono avere ulteriori interpretazioni, nel gioco delle parti devono essere così e devono comportarsi così, uno subisce l’altro infligge, uno è un mostro l’altro è un angelo. Schleinzer, qui all’esordio, non tenta strade alternative, anzi nell’ordine espositivo nulla si ritaglia porzioni di sorpresa: Michael (il maniaco) possiede tutte quelle caratteristiche che lo rendono tale, e la doppia vita, lavorativa e personale, sembra essere la prerogativa fondamentale per tutti quegli esseri sub-umani che si macchiano di orrori simili; allo stesso modo Wolfgang (il bimbo) rappresenta prevedibilmente la quintessenza dell’innocenza, il protagonista di un olocausto indicibile che, non c’è nemmeno bisogno di ricordarlo, lo rivolterà nell’anima.

Date queste premesse, la presumibilità ex ante la visione viene annullata dalla visione stessa che ingrana fin dall’incipit grazie al principio ellittico che ammutolisce l’immagine di troppo. Come il prof. Haneke ha ampiamente insegnato in passato, e Schleinzer lo sa bene avendo collaborato con lui e praticamente con tutti gli altri grandi austriaci contemporanei, è nel fuori campo che si raggrumano meglio gli snodi narrativi (occhio non vede, cuore che duole), e di riflesso i significati, questo perché chi guarda è chiamato in prima persona a completare quel processo filmico che il regista volutamente non conclude. Sarà la scoperta dell’acqua calda, ma quando nel non-visto ci finisce la relazione pruriginosa tra un adulto e un bambino la sensibilità non può che aumentare, e le immagini le situazioni le implicazioni elaborate dal cervello sono inevitabilmente più agghiaccianti di qualunque plateale esibizione. Si profila dunque una visione partecipata in cui il cinema diventa cinema delle conseguenze, la causa non è situata nella diegesi ma in chi osserva e gli effetti sanno essere devastanti: la violenza confluisce in una sciacquata del pene, la devianza nell’impotenza, l’insospettabilità in una errata omelia del prete, la ribellione in un disegno raffigurante mamma e papà, la scomparsa di un gattino nella sua morte.

L’orchestrazione complessiva, raggelante e chirurgica, eleva il modus operandi del regista ad autore già molto navigato. La cura verso tutto ciò che compone il quadro traspare nella forza che possiede l’estetica: l’ordine dell’arredamento, la pittura candida, la stanzetta-prigione in cui “vive” Wolfgang sono validi elementi che si scontrano con il dramma assoluto del film, un dramma che nelle ultime battute diventa da batticuore pur mantenendo il suo intransigente rigore, e quando si assiste alla perlustrazione dell’abitazione da parte della madre, un coro potente prende vita dalle viscere e urla: “apri quella porta!”: è l’apice empatico che sigla il patto definitivo tra lo schermo e chi gli sta di fronte; ovviamente, però, il film rimane fedele alla sua politica, sicché, dopo, non viene mostrato nulla se non i titoli di coda, ma da quella fessura lasciata aperta divampa una sensazione di liberazione. Sia per il piccolo, che per lo spettatore.
In concorso a Cannes ’11 e vincitore di alcuni premi non prestigiosissimi tra cui quello di chi sta scrivendo: Michael è uno dei migliori film dell’anno.

- Il coltello.

20 commenti:

  1. naturalmente di uscire in italia non se ne parla...

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  2. Per il momento non ho trovato notizie. Comunque ha lasciato dentro me un fastidio tale che la mia sensibilità mi impedirebbe di vederlo su grande schermo. Il mio lato cinefilo invece farebbe sì che io mettessi già ora la mano al portafoglio.

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  3. Lo cerco da tempo, finalmente ieri ho trovato la fonte. A quale film appartiene il tuo avatar?

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    1. Non è un film ma la foto di un giovane regista che apprezzo molto: Simon Staho. Quando vedi Michael passa di qui che su un'opera del genere ho il bisogno impellente di confrontarmi.

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  4. Questi temi mi disturbano assai. Per ora lascerò passare.

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    1. Dato che conosco bene il tuo feeling con l'Austria cinematografica, penso che questo film non ti deluderà.

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    2. mi stai tentando? Per vedere questo film avrei bisogno di molta concentrazione e sopportazione, cosa che in questo periodo aimè non ho! forse se prendo le ferie, SE, potrò dedicarmici. Ma avevo già in mente di dare la precedenza a una bella maratona su TARR. Che dici? :p

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    3. Allora vai con Dio. Quindi vai con Tarr.

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  5. possibile che si trovi solo sottotitolato in inglese?

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  6. Scusami....ma da quale torrenzone l'hai preso? Mi sa che ho preso un fake.

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  7. questo. è un po' pesante ma si vede come gesù comanda.

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  8. Grazie mille :) Risalgo a vederlo e poi torno oltre il fondo...L'unica apnea dove si respira meglio. Yeah.

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  9. Dipende se dopo questo pugno nello stomaco i tuoi polmoni saranno ancora in grado di fare il loro lavoro :)

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  10. Finalmente l'ho visto:)

    Troppo fragile per essere un mostro, troppo cinico per essere umano. Lo ammetto. Forse il mio elementare bisogno di giudizio mi lascia distaccato di fronte ad un film in cui non so chi condannare.

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  11. Visto anch'io!

    Non so, mi è piaciuto ma con qualche riserva.
    L'assoluta quotidianità/normalità del rapporto tra un pedofilo e un bambino è difficile da digerire, o meglio non riesco ad accettarla per il come tutto ci viene mostrato. Troppo glaciale, troppo distaccato, senza alcuna impennata narrativa; forse nella sua normalità e naturalezza risiede la grandezza di questo film, che si pone come una fredda analisi di una persona comune, che ha amici, viaggia e si diverte, ma che nasconde qualcosa di scomodo.
    Secondo me, Michael presenta alcune analogie con il settimo continente di Haneke: non saprei dirti cosa, forse la violenza "suggerita" e mai mostrata, l'assenza/distruzione del nucleo familiare, sta di certo che ha imparato tanto e bene dal Maestro.

    Ps: Il finale mi ha ricordato, per la tensione provocata, la cassapanca di Nodo alla gola di Sir. Alfred.

    Ciao Eras!

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  12. Ciò che a te è andato di traverso a me ha mandato in sollucchero, spogliare di malizia il film è stata la mossa vincente, mostrare la tanto abusata espressione "banalità del male", poiché credo sia questo il nocciolo in fondo, come per buona parte dei registi austriaci d'oggi: raccontare a proprio modo il lato non illuminato dal sole, diventa la chiave per arrivare al cuore del film, che in realtà non proclama niente, visto che i pedofili hanno due gambe, una testa e un cuore (?) come tutti gli altri e che quindi si sa che sono uomini nella folla, i vicini di casa, i colleghi, i maestri di tuo figlio, però Michael, come - penso - nessuno prima aveva fatto, ce lo ricorda con una brutalità che non ha niente di brutale, la freddezza e il distacco sono la traslazione di una vita, quella dell'ometto, che è propria della sua esistenza. Personalmente, non avrei chiesto di meglio nel trattare il tema "pedofilia".

    L'assonanza con Il settimo continente non sei il primo a riscontrarla, durante la visione non ci pensai ma poi leggendo alcuni commenti (mi pare sul forum di Asian World) si facevano le tue stesse osservazioni e in effetti le cose possono artisticamente combaciare, anche se Haneke resta, se possibile, ancora più lontano dal set.

    A presto Mandy!

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  13. Ho appena visto il film. Devo dire che si è lasciato vedere fino in fondo senza alcuna esitazione, quindi è godibile e non annoia assolutamente! Per il resto il film m'è piaciuto veramente, tanto che ho già ordinato una copia in dvd da Play.com :D
    Scena preferita? Quando Michael cerca di adescare il bimbo Phillip ma ad un certo punto, nel bel mezzo della chiacchierata, il padre chiama il figlio e lui, freddamente, si dilegua come se niente fosse..in una strada, poi fattasi sentiero, ancora pochi metri e avrebbe fatto di Phillip il compagno di prigionia del biondo e innocente protagonista.
    Insomma, psicologicamente è diretto magistralmente. Il fatto, ad esempio, che il bambino, chiuso nel suo triplo metro quadro di mondo, assuma quasi le caratteristiche ossessive maniacali del suo violentatore: come piega le cartoline per i suoi genitori, come lava e pulisce ecc.. si vede una sorta di identificazione con l'aggressore. Ciò che manca nel film è ovviamente l'amore. Michael non ama il suo bambino, piuttosto lo protegge in vista del suo unico scopo, e cioè trarre piacere da lui, per questo si preoccupa della sua cura personale, dal curare la febbre o dal farlo lavare bene. Di tanto in tanto si intravede qualche scorcio di umanità, quando prova a giocare col bambino ad esempio, tentativo mai ricambiato; ma si tratta pur sempre di una conseguenza dello status di Michael, dipendente isolato nella sua solitudine professionale, il quale non scambia una parola coi colleghi neanche per la festa di promozione. Il finale è magnifico. L'atroce dolore della madre si sgretola e si infiamma maggiormente di fronte alla vera verità.
    Voto: 9/10
    P.s: grazie Eraserhead per la recensione ottima del film :)

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  14. Non avevo pensato all'"imitazione" del piccolo (magari anche involontaria) nei confronti dell'aguzzino. Mi sembra che possa starci tutta e in questi termini la vicenda assume una sfumatura ancora più tetra, come se il Male riuscisse ad educare secondo le sue regole.
    Grazie a te del contributo Orazio!

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