mercoledì 28 marzo 2012

Hors Satan

Adesso che Hors Satan (2011) è giunto fino ai nostri minuscoli ed inutili schermi, non possiamo che ringraziare Dumont per averci reso ancora una volta impreparati di fronte al suo cinema, un cinema dove la visione cede il passo all’esperienza sensoriale, metodo di trasmissione auspicato dall’ex professore di filosofia che in molte interviste ha dichiarato a più riprese di come i suoi lavori nascano dalle sensazioni, dall’invisibile, colmando perciò di impressioni la diga dell’ermeneutica a cui basta una goccia per esondare, e di gocce, in questo film presentato a Cannes, ce ne sono un’infinità, tante da travolgere e stordire sebbene la sottrazione sia l’imperativo categorico a cui attenersi, cosicché non sono soltanto le parole e le musiche ad essere rosicchiate fino all’osso, ma anche lo scenario paesaggistico che, come per Twentynine Palms (2003), recinta la storia in un baratro di asetticità totale; Passo di Calais diventa un limbo violentato dai contrasti della natura: le colline lunari che fanno il verso alle depressioni orografiche, il cielo color schifo specchio immobile di un mare in ebollizione.

Dumont arriva in questo scenario senza coordinate e, come per il film girato nel deserto californiano, edifica dal nulla il suo impianto che prescinde con una tranquillità disarmante di qualsiasi escamotage filmico: un uomo si inginocchia davanti al sole, una giovane piange vicino a casa. Punto. Non c’è psicologia o sociologia, la caratterizzazione è radicata nei plans straordinariamente combinati fra campi lunghissimi in cui gli attori diventano formiche, e primi piani che trivellano l’occhio, non c’è alcuna concessione, il francese sordo ad ogni tipo di semplificazione alterna la grandezza della vista d’insieme al dettaglio del particolare permettendosi soltanto delle dissolvenze in nero che scandiscono l’incedere della pellicola, dei veri e propri rintocchi di tenebra che con l’approssimarsi del finale si fanno sempre più presenti.
Hors Satan è, nella forma, l’ennesimo trattato di eversione da parte di Dumont che non ha il timore di appesantire né con la ripetizione (il girovagare per i brulli saliscendi) men che meno con la dilatazione (l’espansione dei tempi di ripresa), lui, abile architetto, compensa la contro-dinamicità con un procedere che ha la stessa consistenza aneddotica della Bibbia, la sua mdp è il verbo apostolico che racconta ciò che vede: un uomo, una donna, la natura, il mistero.

Se Hadewijch (2009) terminava in un abbraccio salvifico che aveva come protagonista proprio Dewaele, qui è nuovamente l’attore, pienamente dumontiano nei tratti somatici, che si frappone tra la vittima e il precipizio. Il suo aiuto muto (o quasi: “non resta che una cosa da fare”) si concretizza in azioni che, banalmente, spiazzano: l’uccisione a sangue freddo del patrigno [1] e la punizione nei confronti del guardiano, sono accadimenti che non sembrano estromettere troppo il male data la loro cifra brutale, ma l’aggressione comunque ovattata dall’imperturbabilità di questo Golem-pagano (cit. Alessandro Baratti, a sua volta cit. Alain Spira) si muove per traiettorie che (forse) hanno un residuo di sentimento (tu chiamala, se vuoi, umanità), oserei dire puro perché egli rifiuta la carnalità di chi sente davvero vicino (ricordate Pharaon?) ma viceversa non ci pensa due volte ad accoppiarsi selvaggiamente con una donnaccia che subito dopo, con la schiuma alla bocca, crolla in un delirio mistico. Il comportamento del le gars è oscillante: uccide un suo simile (?) ma ne salva un altro con una sorta di esorcismo, Dumont evita ogni indirizzamento: il ragazzo non è solo Dio non è solo il Diavolo, potrebbe essere entrambe le cose in parti uguali, oppure nessuna delle due, egli, semplicemente, È. Chi invece sembra non uscire dalla cerchia diabolica è l’uomo dell’orticello accanto, uno qualunque, perché come ne L’umanità (1999) non importa chi ha commesso il crimine, ma perché lo ha fatto.

Il cinema di Dumont è mosso in tutto e per tutto da una scia sismica che ha un fortissimo carattere religioso, giusto per dire: il titolo originale de L’età inquieta (1997) è La vie de Jésus (il cinguettare degli uccellini…), ma il punto di vista del francese ha dribblato i paletti dei dogmi, depauperato Cristo appaiandolo all’uomo (ancora Pharaon), si è aperto all’alterità di altre confessioni (Céline), ha santificato la forza originaria dell’erba, della terra (Barbe con le sue visioni); e proprio dalla primigenia essenza della natura Hors Satan amalgama le citate suggestioni (Lui che ha il potere di curare, predire, far risorgere; Lui che prega gli elementi naturali; Lui che volge il capo di Lei proprio verso la terra come se da lì giungesse il soffio vitale) e al contempo le supera, va oltre il pensabile, il comprensibile, al di là della logica, dell’irrazionale; esce letteralmente dalla religione, non c’entra la croce, non c’entra l’inferno, ciò che accade, oltre ad essere un miracolo su pellicola, è un miracolo terreno. [2]

Rendiamo grazie a Bruno Dumont per la luminosa incomprensibilità di Hors Satan, per la verginità di ogni singolo fotogramma, per come ci lascia impreparati di fronte al manifestarsi dell’Arte, per quel respiro che abbiamo tirato insieme a Lei come se dopo una dissolvenza un po’ più lunga, fosse stato nuovamente il primo.
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[1] Avevo già visto questa scena nel trailer e da subito ho avuto il sentore che qualcosa non andasse per il suo verso. Osservando bene si nota infatti che quando l’uomo spara al suo obiettivo, quest’ultimo ricevuto il colpo schizza all’indietro come se una forza invisibile lo attirasse a sé, o come se quella pallottola avesse una forza… soprannaturale. Vedere qui per credere.

[2] Se qualcuno volesse rimanere basito in misura eguale, allora non può esimersi dal visionare il finale di Silent Light (2007).

27 commenti:

  1. curioso di vederlo..anche a me dumont piace parecchio...e, come sempre, tu sei molto bravo e spiente nella rece..ciao

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  2. Attendevo impaziente questa tua rece e non mi hai deluso.Credo che questo sia uno dei tuoi migliori pezzi se non il migliore in assoluto.Mi fa piacere che citi Alessandro da cui ho capito alcune( non tutte) delle sfumature di Dumont. Lo conosci Alessandro, intendo dire di persona?

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    1. Non lo conosco come persona, ma lo conosco come critico (anzi come Spietato) e devo dire che è una delle mie penne preferite nel campo delle recensioni. C'è da imparare dai suoi scritti.

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    2. Alessandro è un grandissimo che ha una scrittura tra le migliori che abbia mai letto.Ci siamo incontrati un paio di volte a Pisa che è la sua città ed è una persona adorabile con cui staresti giorni e giorni a parlare ininterrottamente di cinema, uno dei pochi che mi ha dato l'impressione di essere malato di cinema almeno quanto me...ah finalmente sono riuscito a metterti nei miei amici di cinema.Meglio tardi che mai!

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    3. Si comprende da come scrive che oltre ad avere competenze tecniche è un appassionato coi fiocchi. Se lo incontri di nuovo fagli i complimenti anche da parte mia!

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  3. proprio stamattina ho traslocato le mie quattro parole in croce su Hadewijch proprio sulla scorta del fatto eh avevi già visto Hors Satan..poi vengo da te e trovo il post bello e pronto! Telepatia?

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  4. di Dumont ho visto solo L'età inquieta! mi è bastato quello per capire il grande talento di questo regista. Ho voluto cominciare con quello in quanto ritenuto il più "commestibile" dei suoi film. Di fronte a questa splendida recensione (che, non avendo avuto ancora la fortuna di vedere il film in questione, riesco a comprendere solo in parte) non mi rimane che riempirmi di umiltà, aspettando di vedere questo piccolo gioiello solo quando avrò acquistato più conoscenza. Intanto, grazie :)

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  5. Per brazzz e waYne, ci sono già i sottotitoli in italiano, quindi non dico di affrettarvi alla visione ma lo dico: affrettatevi! che almeno se ne discute in quasi tempo reale qui!

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  6. strepitosa recensione, Eraser, tanto di cappello :)
    passando al film: a stento trattengo le emozioni, l'ho trovato incredibile, annichilente, esplosivo, insomma è Arte a 360 gradi e basta.
    Dumont ha azzerato la Cultura, lasciando solo il Sentimento. straordinario... questo film trascende qualsiasi etichetta e scrive una pagina vera della storia del cinema.

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  7. Strepitoso Dumont, io non c'entro! Ci sto pensando da quando l'ho visto e sono giunto alla conclusione che il caro Bruno potrebbe essere arrivato qui al suo vertice artistico.
    Ma spero di venir smentito dal suo prossimo film.

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  8. mai visto niente di simile! una volta terminata la visione ho tribulato a tornare alla mia vita abituale, davvero! Non lo dimenticherò mai!

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  9. Questo è l'entusiasmo che più mi piace! :D

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  10. quanta carne che metti al fuoco,
    non si riesce a starti dietro.
    quasi.

    love, mod

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  11. Sì ma questo è filetto pregiatissimo, occhio eh.

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  12. Visto oggi e ancora mi devo riprendere! Come ho scritto ad Einzige di là secondo me prosegue nel solco scavato dall'ultima parte di Hadewijch e credo che non sia casuale che quello che nell'altro film era un angelo ora è sempre un angelo ma anche sterminatore. L'altra cosa che ho notato è il fatto che l'unico personaggio che nel film abbia un nome è il cane da pastore belga malinois di nome Hugo che vediamo zampettare a fianco al protagonista...

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  13. sì la continuità tra i due personaggi è forte, Dumont non fa nulla per distinguerli nel nostro immaginario, anzi!, se ci ripenso ora mi sembra quasi che sia tutto un unico film! Però al contempo non vedo il male in lui (neppure una gran dose di bontà a dire il vero), e ciò mi fa girare la testa di brutto.
    Osservazione interessante quella sul cane, anche se non riesco a trovare un collegamento con la storia.

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  14. finalmente sono riuscito a organizzare le mie impressioni su questo film! Credo che l'interpretazione del personaggio di Le Gars è difficile come è anche l'esatta interpretazione del titolo:non so il francese ma spigolando in rete ho trovato gente che ha tradotto hors come oltre e altri come al di fuori. Per me c'è una bella differenza. Il fatto del nome nella mia interpretazione vuole essere un tentativo di universalizzare la storia che racconta...naturalmente si può discutere ma rivedendo il film mi è sembrata l'interpretazione più naturale per un film che vuole essere oltre...Per me Hors Satan vuol dire Oltre Satana, indica il rifiuto della bidimensionalità tra Bene e Male...che ti devo dire, può darsi che domani ho cambiato idea e queste che ho scritto mi sembreranno delle gran cazzate...

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  15. Hai fatto bene a concentrati sul titolo perché, in fin dei conti, ogni titolo possiede una forza ostensiva e rappresenta un buon punto di partenza per iniziare a ragionare. In effetti "hors" viene tradotto dai siti on-line come "fuori", questo problema semantico lo trovo parecchio interessante ma allo stesso tempo (forse) inconcludente: tutto sta a vedere che significato si dà alle parole fuori e oltre, a tratti li vedo sinonimici, a tratti no, e in quest'ultimo caso nel dire Fuori Satana (espressione che implica l'entrata nel bene) e Oltre Satana (sì, superamento della dicotomia per antonomasia), avverto una *sensazione* differente; mi accorgo che alla fin fine di fronte a questo film si torna sempre al nucleo personalissimo della visione, da lì non si sfugge, tutte le interpretazioni valgono e tutte sono fuffa allo stesso tempo.

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  16. visto. brividi. "per la verginità di ogni singolo fotogramma": concordo. mi viene quasi da dire Hors (oltre) chi-non-riesce-ad-amare-questo-film

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  17. Appena conclusa la visione. E' indubbiamente visivamente potente, toccante per diversi aspetti, mi è piaciuto molto come Dumont ha espresso il rapporto dei personaggi con la natura. Ha creato un suo mondo cinematografico, caratterizzato da un linguaggio simbolico che allo spettatore non pesa affatto come spesso accade con altri registi (Malick e Lars Von Trier in primis), ma che è architettato per lo più con coscienza, suscitando rievocazioni archetipe. Peccato che il succo in fondo è "povero", proprio perchè non lascia via interpretative, come dici Eraserhead, "è ciò che è", la costruzione del personaggio di Dewaele per quanto possa suscitare un'ambiguità terribile, non lascia proprio vie interpretative, sembra impadronirsi moralmente degli eventi con un'arroganza disarmante, tanto che che il tentativo di rimuginare sulla dicotomia bene e male perde gran parte del suo interesse, proprio perchè il suo personaggio diventa qualcosa di così fortamente "a sè stante", sovrumano, che allo spettatore non interessa neanche tanto specchiarsici e confrontarsici.

    Ritengo che Hadewijch sia di gran lunga un'opera più avanti, non solo perchè sviluppa una vera tematica umana sul dibattito fede/violenza, ma anche perchè è un film di gran lunga più spirituale che spalanca delle porte celestiali in un quotidiano più misero grazie all'impronta fortemente realistica, dove non è soltanto la luce solare di un bellissimo paesaggio a farci inginocchiare con grazia.

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  18. mmm non sono troppo d'accordo sulla disamina che fai di Dewaele poiché il suo essere "a sé stante" (condizione voluta da Dumont) è secondo me motivo di enorme attrazione nei suoi confronti, in un film così allo spettatore (almeno al sottoscritto) non interessa alcun confronto o immedesimazione perché lo si percepisce come qualcosa di oltre l'uomo, un dio un diavolo o compagnia bella, per cui il mistero (sacro, luciferino, pagano, ecc) sprigionato da lui resta intatto ed enormemente affascinante, la "sovrumanità", sempre per me, è interessante eccome perché può aiutare a comprendere la "normoumanità" :).
    Comunque se vuoi puoi recuperare un altro film grandioso (secondo i miei ovviamente :D) che si chiama Naufragio di Pedro Aguilera (su Asian World trovi i sub) e sembra il film gemello di Hors Satan. Io ne sono rimasto abbagliato.

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  19. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  20. E' molto difficile. Credo che quando un regista dichiara di trasformare il cinema in una religione, non debba comunque perdere le dinamiche umane; attraverso una caratterizzazione così tremendamente inaccessibile, è difficile per lo spettatore crescere insieme al film. C'è un'enorme intensità nella pellicola caratterizzata da una scelta stilistica (debita sicuramente alla ricerca di Bresson sulla forza primogenia del cinema) che diventa la vera protagonista del film. Le immagini a un certo punto è come se prendessero il sopravvento.
    Quest'opera somiglia molto più a un'esperimento che a un'azione.

    L'unica chiave umana che rafforza il film è sicuramente quello del personaggio della protagonista. Analizzando il suo percorso e il suo miracolo (che è una vera e propria rinascita spirituale), si ha la certezza che il film non parli d'altro che del "perdono".
    Quel perdono che la protagonista non è riuscita a concedere alla madre, per tutto il male che suo padre ha commesso su di lei (presumibilmente violenze domestiche e sessuali). A quel punto la figura di Dewaele si incastra: uno spirito che si nutre delle paure della protagonista e le rende vive, ma allo stesso tempo le supera. Dewaele è come uno strumento catartico.
    Peccato che questa chiave comunque non trova una completa aderenza nello sviluppo degli eventi, proprio perchè succede sempre qualcosa che tradisce qualsiasi intepretazione. Eppure non è INLAND EMPIRE dove la disgregazione narrativa serviva per rompere il divario tra materia cinematografica e presenza spettatoriale... qui tutto rimane sul sensazionalismo cinematografico. Si esce dal film emozionati, ma la percezione delle cose che mi circondano non è poi così cambiata.

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  21. io più che di esperimento che mi fa venire in mente qualcosa di scientifico parlerei di libertà, è un film libero da qualunque vincolo che si permette di fare ciò che vuole (anche di far tornare dalla morte) e tale libertà si rispecchia anche nelle possibili interpretazioni, io continuo ad essere un po' distante dal tuo punto di vista ma siccome è passato del tempo dalla visione non saprei argomentare dell'altro che non sia già nel mio precedente intervento.
    Certo è che se ci fossero più film con la forza di Hors Satan la vita di ogni cinefilo sarebbe migliore.

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  22. Io davvero non so che dire...

    Giovanni

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