mercoledì 9 aprile 2008

Piano 17

Vabbè, lasciamo perdere le solite menate e vediamo che cosa ci offre Eraserhead TV stasera.
Oh bene, un lungometraggio italiano, Piano 17, Manetti Bros in regia, anno di produzione 2005.
Dai cerchiamo di dire qualcosa di intelligente su questo film.

Se qualcuno mi segue con costanza avrà notato che solitamente batto altre strade (cinematograficamente parlando) che quelle italiane recenti. Così a caldo posso dire che soltanto L’imbalsamatore (2002) di Matteo Garrone mi è piaciuto davvero molto, per il resto, tra vanzinate e muccinate varie mi tengo ben lontano dal cinema nostrano (e ho fatto pure la rima, tiè). Questo per dire che se ho visto Piano 17 è perché sia nel film di Garrone che in questo c’è la stessa attrice, Elisabetta Rocchetti.

La struttura costruita dai fratelli Manetti assomiglia molto alla lontana a quella di Memento (2000) perché col procedere della narrazione le continue analessi scoprono alcuni punti oscuri della vicenda.
Sarà che ho una naturale avversione nei confronti del cinema italiano, ma io una banda di rapinatori che ha per capo Massimo Ghini e come vice Enrico Silvestrin non ce la vedo proprio, in più a me Silvestrin non sta simpatico sin dai tempi in cui faceva il vj su MTV ed il ruolo che interpreta gli calza davvero a pennello. Lui è il traditore della banda che intrappola il fratello di Mancini (Ghini) dentro ad un ascensore con tanto di bomba ad orologeria a carico. L’attentato dinamitardo è in pratica un baratto con la direttrice della banca rapinata in precedenza che in cambio di alcune informazioni necessarie per il furto vuole l’eliminazione di certi documenti che si trovano al diciassettesimo piano di un mega palazzone.

Questo è un film sui precari legami umani, le figure rinchiuse all’interno dell’ascensore sono volutamente (almeno credo) stereotipate: la segretaria che scende a compromessi per fare carriera e l’impiegato frustato che spera in un contratto a tempo indeterminato sono modelli della nostra società, a trovarne di segretarie così però!
Non ho apprezzato molto il personaggio del fratello di Mancini, un po’ cavaliere senza macchia e senza paura e un po’ filosofo, ostinato nel portare a termine l’incarico di distruggere i documenti quando invece avrebbe potuto fregarsene dopo tutto il casino che era successo.
La regia è rapida, quasi nervosa, con i flashback ben inseriti all’interno della trama che presenta però alcune incongruenze; per esempio come è possibile che subito dopo la rapina si siano preoccupati di portare via il corpo di Mancini? E poi ancora, come faceva il fratello di Mancini a sapere con esattezza dove si trovasse la cabina di comando dell’ascensore? Ma soprattutto: perché la segretaria e l'impiegato non hanno chiamato subito il 112 appena intrappolati nell’ascensore?

Happy end con, udite udite, la voce di Max Pezzali in sottofondo, spettacolo!

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