sabato 19 giugno 2021

The Absence of Apricots

Cinema territoriale che, appunto, trae spinta dal suo concentrarsi su una specifica zona geografica: siamo in un Pakistan settentrionale dal clima avverso dove a causa di un’enorme frana un fiume si è trasformato in un lago mutando di conseguenza le esistenze delle genti che lì vi abitavano. Daniel Asadi Faezi, tedesco di nascita ma il cognome non sembra esattamente teutonico, sceglie come metodo di trasmissione quello documentaristico e, come dire, si trova la tavola già apparecchiata: di bellezza il paesaggio di questa valle erosa dal vento ne offre parecchia ed il giovane regista si mette giustamente a disposizione di essa, i campi utilizzati infatti esaltano i contrasti naturalistici tra il blu delle acque ed il grigio-bianco spigoloso delle rocce, in mezzo, inevitabile, le persone. Qui scatta il breve ritratto antropologico, sulla scia di quei cineasti sempre pronti a tuffarsi nelle realtà specifiche, Asadi Faezi immortala l’eternità del quotidiano tra le montagne e il vivere comune sotto un tetto in cui è indispensabile centellinare l’energia elettrica. Se si è in cerca di una proposta indimenticabile siete nel posto sbagliato, non lo siete, invece, se sul versante umano vi “accontentate” di incontrare donne e uomini appartenenti ad un altro mondo dove però certe sfumature, certi dettagli, certi sentimenti mi spingono ogni volta a pensare di quanto in fondo siamo tutti così meravigliosamente uguali.

Ma The Absence of Apricots (2018) non è solo documentario, attraverso un procedimento non troppo lontano da alcuni allestimenti folkloristici di Peter Brosens e Jessica Woodworth (cfr. Khadak, 2006), Asadi Faezi innesta alla testimonianza diretta una storia che attinge al fiabesco con un cacciatore di stambecchi che emerge dalla superficie lacustre ed una fata sapiente che lo guida nell’erto percorso. La complementarietà delle due visioni è un dato probabilmente riscontrabile, di evidente stonature non ne ho ravvisate quindi nel globale le cose scorrono in maniera accettabile, resta comunque aperta quella che il sottoscritto considera una ferita, ovvero la scelta di intensificare così marcatamente il girato sottostimando le potenzialità del reale che, a priori, contiene già qualunque racconto possibile o impossibile che verrà dopo. Ad ogni modo capisco (e accetto) il senso di un film del genere, senza fare troppo le pulci alla sezione favolistica che forse non ce n’è nemmeno bisogno, The Absence of Apricots ha valore nel suo mettere a conoscenza l’ignaro spettatore a proposito di un luogo (e dei suoi residenti) dimenticato da qualsiasi divinità, quando il cinema apre porte su ciò che è sconosciuto non si può mai parlare di tempo sprecato.

Postilla: tempo dopo la visione del doc in oggetto ho messo gli occhi sulla riedizione del 2020 di Afghanistan Picture Show: ovvero, come ho salvato il mondo proposta da minimum fax. Ebbene, nelle pagine-diario di un giovane Vollmann intento a recarsi in Afghanistan per fronteggiare i russi, ci sono lunghe e attente descrizioni dei brulli ambienti circostanti, praticamente i medesimi ripresi da Asadi Faezi. Un giudizio sintetico sul libro? Non il miglior Vollmann ma, signore e signori, è pur sempre Vollmann e va obbligatoriamente letto.

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