martedì 23 marzo 2010

Irina Palm - Il talento di una donna inglese

Il piccolo Ollie è affetto da una malattia curabile solo in Australia. I giovani genitori non hanno i soldi per pagare il viaggio, così la nonna Maggie si mette a cercare lavoro. Rimbalzata in più posti a causa dell’età, si butta nell’ultima spiaggia del night club. Dapprima riluttante a smanettare piselli attraverso un glory hole, viene convinta da Miki, il proprietario del locale, che oltre a ricoprirla di soldi le affibbia anche un nome d’arte: Irina Palm. Il rapido prologo getta le basi per una classica favoletta stile Walt Disney. In effetti il povero bimbo malato, i genitori squattrinati, la nonna amorevole che prende spallate per strada, sono ingredienti zuccherosi che alzano il tasso glicemico manco fosse una storiellina della buonanotte. Ed anche se si tratta di una vecchia che fa seghe a sconosciuti in uno strip club, ogni virata nello squallore, nella drammaticità, nell’avvilimento della professione, è addolcita da una costante sensazione di happy end imminente e inesorabile.
Eppure, Irina Palm è un film che si fa voler bene.
Perché alla fine il buonismo ad ogni costo ad ogni modo non può bastare a discriminare una pellicola che avrà sì il “germe” del Mulino Bianco dentro sé, ma che comunque ha la capacità rendersi simpatica allo spettatore medio.

La sorgente di questa empatia si genera con il netto divario (separazione: separa Maggie, separa!) che sussiste anche quando la nonna va a spipettare uccelli per il nipotino ammalato. La donna non riesce a dividere la sua vita dal lavoro portando quadri e piantine nello sgabuzzino, sicché vediamo una signora di mezza età con tanto di grembiule affaccendarsi in cose che non le appartengono più. La forza comica sta nell’aver calato all’interno del contesto lussurioso del night un personaggio atipico, e da qui nasce il divario diegetico che stuzzica lo spettatore.
Ma anche se nel buio del locale vige la legge dell’immoralità, almeno in apparenza, il regista Sam Garbarski suggerisce di come alla luce del sole si possano trovare personaggi molto meno umani di Miki. Ne sono un esempio le amiche impiccione (e traditrici) che sembrano uscite dalla penna di Reg Smythe. Quello del mondo in superficie contrapposto a quello sotteraneo è il livello di lettura più interessante dell’opera, di sicuro non facile da cogliere a causa degli attacchi diabetici che subirete. Nota negativa che dimenticavo: Garbaski utilizza così spesso le dissolvenze in nero da farmele quasi odiare.

Marianne Faithfull, intravista da ‘ste parti con Intimacy (2001) ma anche e soprattutto cantante rockeggiante, sfodera una recitazione volutamente sottotraccia, goffa e ingolfata dal cappottone rosso che praticamente non abbandonerà mai. Miki Manojlović, conosciuto in Italia per Il macellaio (1998), è uno dei migliori attori slavi in circolazione, e se un giorno dovesse smettere di recitare avrebbe un futuro assicurato tra pali oleati e ballerine in perizoma.

4 commenti:

  1. sinceramente,lei la amo da sempre..il film si fa voler bene,vero.ma dopo un inizio promettente(l'idea,poi,è molto buona)più va avanti più annoia.,secondo me..troppi buoni sentimenti,che ne pensi?

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  2. Eeeh... in effetti, però come si fa a dire "quel film non va perché ci sono troppi buoni sentimenti"? Mi pare un metro di giudizio poco giusto. E' anche vero che lo spunto iniziale ha buone potenzialità. Insomma, io lo definirei un film carino, e se dovessi dare un voto, cosa che non faccio mai perché odio, darei un 6,5.

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  3. mm,stavolta mi sembri un pò di manica larga..eheh..ciao

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