lunedì 16 giugno 2008

Giorni e nuvole

Di solito mi occupo di altri generi, non so perché a dir la verità.
Forse provo una sottile soddisfazione nel vedere film poco conosciuti, inconsciamente spero di suscitare invidia nel lettore, e di creare quel meccanismo che magari ha portato me medesimo sulle tracce di una qualche pellicola sconosciuta. Ma a quale pro faccio tutto questo ancora non l’ho capito.

Se devo essere sincero non pensavo neanche di mettere Giorni e nuvole sul blog, troppo diverso dai miei canoni pensavo, neanche avessi una reputazione da difendere… in fondo l’unico motivo per cui mi ero promesso di visionarlo era l’ambientazione genovese, ovvero la mia città.
Invece no, ogni mio pregiudizio si è sgretolato durante le due ore di proiezione, e alla fine non potevo non scrivere qualcosa qua. Perché se solitamente prediligo storie di disperazione, orrore o sesso portate anche all’estremo, Giorni e nuvole racconta tutto questo in maniera semplice: la discesa inarrestabile di una persona, non ci sono effetti speciali, mostri o squartamenti, ma la pura realtà.

Soldini dipinge la parabola discendente di Michele (Antonio Albanese), un uomo che fino ad un attimo prima aveva tutto: soldi, una famiglia, una casa, un lavoro. E un attimo dopo non ha più niente. In questa sua caduta trascina anche la moglie Elsa, una splendida Margherita Buy, che paradossalmente in uno dei momenti più soddisfacenti della sua vita, la laurea, si trova a fare i conti con un marito disoccupato e una casa da vendere.
Il suo personaggio è davvero ben caratterizzato, inizialmente, a differenza di Michele, sembra reggere l’impatto emotivo della situazione, ma quando cede alle lusinghe del suo principale si capisce che anche lei ha raggiunto il culmine. Il tradimento non è dovuto ad una particolare attrazione fisica, ma è il risultato dello stress psicologico dovuto allo stravolgimento della sua vita.
Anche Michele è sicuramente un personaggio credibile, ma essendo Albanese conosciuto più per i suoi lavori da comico, ci si aspetta da lui una performance scanzonata come è nel suo stile. Non è così in realtà, il suo dramma, che purtroppo è quello di molte persone, si consuma con una velocità che ha dell’incredibile, da manager a pony-express, da pony-express a imbianchino, da imbianchino a disoccupato. Lentamente si ritrova isolato prima dai suoi ex colleghi ed amici, poi dalla sua stessa famiglia. E privo anche di una figura paterna, si ritrova completamente solo a lottare contro i suoi demoni. Io avrei cercato di accentuare di più lo stato di angoscia in cui precipita il protagonista, che si capisce, ma che non crea una solida empatia con lo spettatore.

Poi a fine visione ho pensato a due o tre cose: il film è ambientato nella città in cui sono nato, i problemi di Michele sono un po’ quelli di tutti che vi cercano. Molti colloqui, pacche sulla spalla, le faremo sapere, ecc. ecc. Soldini è stato molto attento sotto questo aspetto, ha traslato sullo schermo una situazione reale, e quando uno dei due operai dice pressappoco: “Luciano ha trovato lavoro al porto di Voltri, è un posto sicuro.” Per un attimo mi è venuto difficile distinguere la realtà dalla finzione, perché è così. Quindi un plauso al regista che non ha fatto muovere gli attori come dei burattini all’interno della città, ma ha reso Genova anch’essa protagonista, coinvolgendola nella storia.
Se Ziliani stilasse una pagella su di me direbbe: ricreduto, io dico: vedetevelo.

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