sabato 6 ottobre 2012

Teclópolis

Teclópolis (2009) funziona perché come in tutti i lavori dove lo stop-motion viene applicato su oggetti inanimati, lo spettatore viene automaticamente colpito da una sorta di pareidolia per cui in tali oggetti riconosce caratteristiche antropomorfiche o in generale riconducibili al regno animale, e lo fa ogni volta con grande stupore sebbene sia evidente a priori che l’intenzione di chi dirige resti proprio quella di sbalordire rianimando l’essenza delle cose che sappiamo essere prive di vita, creando, come se tali registi fossero delle entità superiori capaci di soffiare nel cuore (?) di una tastiera, di una coperta, di una web-cam, quell’alito vitale che rende queste cose straordinarie, come tutto ciò che vive.
Teclópolis funziona anche perché il suo regista, Javier Mrad professore di graphic design argentino, appaia alla tecnica un concentrato educativo che si poggia su questioni prossime a noi; nello spazio di dieci minuti viene trasportato e portato all’eccesso un processo che riguarda da vicino il nostro mondo ormai totalmente informatizzato. La constatazione di una realtà (della nostra) che non può più prescindere dai supporti informatici è scontata così come è scontato sottolineare la qualità degli effetti che questa rivoluzione ha portato: altamente positivi. Mrad però avverte attraverso quella che in fondo non è altro che una parabola: la digitalizzazione pandemica, il passaggio dal vecchio al nuovo, finisce per mandare nel tritacarne il passato, ciò potrebbe anche non interessare troppo, eppure, senza quasi accorgersene, un po’ di romanticismo sfuma, evapora: apparirà argomento superfluo eppure nel corto è un triste dato di fatto: nel mare non ci sono più sirene.
Ma Teclópolis funziona principalmente perché nel lavoro che c’è dietro (qui un video del making of) si scorge la forza estrosa dei suoi burattinai, un susseguirsi di trovate che colorano la mente, tendono verso l’alto gli angoli della bocca, congiungono ripetutamente i palmi delle mani e fanno sperare una volta di più nell’arte, fucina di codici, contesti e sentimenti che, fino a quando non vengono letti ascoltati visti vissuti, restano inesprimibili per l’uomo. 

Addendum.
Ad una seconda visione ho potuto notare un ulteriore significato insito nel corto, specificatamente la dichiarazione che il regista compie nei confronti del cinema, poiché la sirena, salvando la “vita” al nostro protagonista, salva indirettamente la vita della settima arte, e diventa poesia: quella cinepresa 8 mm continuerà a navigare…

Un grazie ad Elisa per la segnalazione.

2 commenti:

  1. bello.

    dalla cultura del libro all'era informatica, dall'analogico al digitale ecc...
    anche la scelta di usare la tecnica "antiquata" dello stop motion mi sembra coerente con il senso del corto.
    a proposito, grazie per avermi fatto conoscere Bela Tarr!

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