lunedì 7 maggio 2012

Alamar

Giustamente con Alamar (2009) Pedro González-Rubio si affida alle immagini fin dall’inizio.
Non racconta, mostra. Nello specifico delle istantanee di un amore che è stato e che, pur svanendo a causa di forze maggiori, ha generato un frutto delizioso: Natan.
La storia è dunque questa. Del piccolo Natan che dall’Italia, paese della madre, passa una breve porzione di tempo a Banco Chinchorro, Messico, insieme al padre pescatore.

Giustamente, perciò, l’occhio è rivelazione. Lo scenario paradisiaco ammutolisce ogni parola e così la relazione padre-figlio viene catturata attraverso istantanee che hanno come matrice di fondo la condivisione di un evento. Dietro (ma in primo piano) il mare, e loro due che: pescano, cucinano, familiarizzano con la Blanquita, passeggiano sulla spiaggia, osservano le piante.
Per dirla poeticamente: si fondono con la natura, la quale non solo avvolge l’uomo e il bimbo, ma diventa parte attiva di quello che allora è un triplice rapporto, e questo perché nella città (Roma) la natura non esiste. Come dice Natan quei pesci al massimo si possono comprare, non certo pescare.

Il film colpisce, ancora giustamente, perché come accade quando appare il titolo, si apre uno spiraglio su un mondo cristallino dove gli uomini pur non avendo niente, né scarpe né vestiti, non dico che siano felici, ma almeno sembrano in pace con se stessi: dev’essere il mare, come osserva con saggezza il nonno.
Tuttavia mi viene da obiettare che dato l’approccio documentaristico il lavoro nel senso stretto del termine da parte del regista non è costituito da grandi oneri, in fondo, andandoci comunque cauti, dello storyboard presumo non vi sia stata traccia, che dire poi della sceneggiatura se l’opera è tratta, come parrebbe, da una storia vera, praticamente era già scritta, infine il copione sottilissimo e la camera (una) a spalla che non deve aver impegnato troppo in fase di montaggio rendono con poche approssimazioni la semplicità globale della pellicola.

Non è un difetto, ma al contempo non mi sento nemmeno di esaltare l’essenzialità nell’elenco dei pregi. Rimane un film così, gradevole, delicato e bellino, il giusto.

Grazie ad Einzige e Ismaele per il consiglio.      

Nessun commento:

Posta un commento