venerdì 23 marzo 2012

La mosquitera

Sulla carta il lavoro di Agustí Vila presentato al Torino Film Festival del 2010 dovrebbe esporre la sua trama attraverso un mood leggero, da commedia brillante, e in effetti la partenza segue questa pista perché sul piatto abbiamo una coppia in crisi, dove lei è Emma Suárez (la musa del primo Medem) mentre lui è Eduard Fernández (notato nel ruolo del maestro in Black Bread, 2010), che oltre a non trovare un punto di incontro nel loro rapporto, sono incapaci di rapportarsi con il figlio di 16-17 anni che preferisce gli animali (ne riempie la casa, 6 cani e un paio di gatti) agli uomini, anche se tale distinzione di specie ne La mosquitera appare quanto mai debole.Essì perché più la pellicola si inoltra nel suo nocciolo, più il candore apparente annerisce, si sporca, diventa luridume emotivo-esistenziale incorniciato nell’agiatezza, coperto da sottili maschere sociali, compresso fra le mura domestiche a cui basta una finestra aperta per avvicinarsi alla morte.
Ma la repressione di questo malessere trova valvole di sfogo le cui rotaie portano il vagone traballante della famiglia (?) in una galleria senza luce, e già lo si afferra con i disegni di Alícia giudicati troppo violenti dall’editore, e dalle avances del padre nei confronti della colf di casa.
In aggiunta si affiancano sullo sfondo vicende che conferiscono una vaga coralità al narrato, ma si sa che quando un regista opta per questa via di trasmissione, la molteplicità conduce all’unicità, e in un tale teatrino di pupazzi si delinea chiaramente il baratro in cui le persone stanno precipitando a rotta di collo, quello dell’inaffettività.

Non è soltanto la relazione marito-moglie ad essere in crisi, d’altronde il film inizia con Alícia e Miquel già consapevoli della propria rottura, bensì quella genitori-prole. L’afasia sentimentale sembra essere un problema ereditario perché anche i genitori di Miquel si confrontano col proprio figlio in modo disinteressato (la madre malata di Alzheimer) e scorbutico (il padre che pare voglia sostituire la voce della moglie ormai muta), tuttavia il focolaio disempatico è rinvenibile nelle vicende che hanno come protagonista Alícia, la quale non riuscendo a scalfire la bolla in cui si è rinchiuso Luis, in un mix di solitudine e depressione si fa penetrare da un adolescente invece di penetrare lei stessa nel mondo dell’adolescenza. La noncuranza verso gli altri (insinuarsi nel letto di Sergi quando a due passi da lì dorme il figlio) e verso se stessi (“sono la tua puttana”) risulta la sporgenza più evidente di un processo che comunque si è ormai sedimentato in profondità, e tutti gli altri tasselli esterni (le parentesi con la bimba bionda “educata” da una SS in gonnella o la storia parallela tra il padre e la colf) compongono uno scenario desolante, tristemente moderno, altamente avvilente. E ogni cosa confluisce con giustezza nel pranzo finale, per nulla conciliatorio, che ha la stessa portata di sintesi dell’attinente Nothing’s All Bad (2010), dove il nonno squaderna la verità: “io non conosco l’amore, non so nemmeno come le persone siano capaci di amare. Non mi piacciono le persone che amano.”

Vila come Solondz o Seidl? I paragoni si possono fare, perché no, La mosquitera ha i suoi nei (qualche eccesso gratuito c’è, al pari della derivazione tematica) che però dato il cono d’ombra illustrato si mimetizzano piuttosto bene nel denso e preoccupante buio umano.

3 commenti:

  1. l'avevo visto a torino ma me ne ero quasi dimenticato. non siamo ai livelli di solondz o seidl però effettivamente non era niente male

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  2. L'ho gradito, l'ho gradito. Credevo fosse una cosuccia leggera e invece possiede degli anfratti non poco tetri.

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