venerdì 14 ottobre 2011

The King of Ping Pong

La cornice abbagliante di una Svezia sovrastata dalla neve: due ragazzini, due fratelli, mai così uguali (la passione per il ping pong), mai così diversi, nel fisico, nella personalità. E nell’essere figli.

Coincidenza vuole che poco tempo fa da queste parti era passato quell’ottimo, ma veramente ottimo, film tedesco dal titolo Pingpong (2006). Lì il tema del tennis da tavolo era semplicemente il contorno di un piatto sfiziosissimo che impietoso ci mostrava una famiglia ridotta a piccoli e neri coriandoli. Il caso ha voluto che anche in questo film diretto dallo svedese Jens Jonsson nel 2008 tale sport funga soltanto da prestanome a una storia che ugualmente delinea sottili drammi consanguinei.
Attraverso i toni pacati della commedia intelligente il regista-sceneggiatore sviscera con algida perizia il legame fra i due fratelli che viene portato al centro dell’attenzione, e a cascata si profilano da questo focus altre situazioni ad esso collegate. Il pregio della pellicola è quello di saper trasmettere le giuste informazioni senza esibirle smaccatamente, soprattutto il mistero principe della paternità di Erik che si gioca su vari indizi disseminati qua e là (la bandiera americana sulla porta della camera) è in grado di portare felicemente fuori strada lo spettatore.

La sensazione è che via sia un netto contrasto fra il bianco accecante della neve e le vicende tristemente umane riprese. Sormontate da un progetto mai realizzato (la superstrada di Gunnar che sta come a dire: qui siete e qui rimarrete), le vite di queste persone sono costellate da ordinarie tragedie quotidiane. Anche in un luogo che assomiglia al Purgatorio abbiamo una madre giunonica incapace di dire la verità al proprio figlio, un padre assente e alcolista, adolescenti bulli come in mille altri paesi e perfino una bambina Mary Poppins in miniatura che disegna uomini nudi e muscolosi con tutta la mercanzia in bella vista. Così il povero Rille, un totem di 13 anni fatto di spugna, non può altro che assorbire, anzi, non può altro che subire: i divieti della mamma che gli dice di non mangiare, le bottiglie di alcol nascoste nel camioncino di papà, le angherie dei coetanei, i ritratti dell’amichetta che sono tutto quello che lui non è. Fino ad un’inevitabile catarsi racchiusa in un gesto scellerato che se visto da uno specchietto retrovisore mostra un corpo esanime sulla strada innevata, il tempo di riordinare le idee e arriva la chiosa conclusiva: il ping pong è l’ultimo sport giusto in una vita sbagliata.

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