martedì 17 novembre 2009

Bullet Ballet

Tokyo è un sogno, siamo tutti in un maledetto sogno.

No, il capo della gang criminale si sbaglia di grosso: non è un sogno, ma “solo” l’ennesimo incubo di Tsukamoto che getta il classico uomo medio (interpretato da lui stesso) negli ingranaggi sporchi e marci di una metropoli. Goda, questo è il suo nome, è alla disperata ricerca di una pistola, l’arma con la quale la sua compagna si è sparata un colpo in testa. In questa drammatica caccia incontra un gruppo di spietati delinquenti che lo riscucchieranno nella loro discesa all’inferno.

Non è mai facile parlare di Tsukamoto perché ogni volta che si conclude un suo film si è ancora lì a cercare di comprendere cosa sia successo. La sua narrazione, o forse meglio dire la sua “non-narrazione”, è psicotica, caotica, a tratti seriamente incomprensibile perché va troppo veloce. Noi, pigri spettatori occidentali, non siamo abituati ad un tale bombardamento di immagini + suoni. Però è doveroso provare a capire poiché Tsukamoto sa il fatto suo e non butta mai sullo schermo cose a caso.
Per l’occasione il regista rispolvera un bianco e nero alla Tetsuo (1989) ma qui più pulito, e come per le sue opere precedenti l’uso della mdp è frenetico, i movimenti sono concitati anche nelle scene di raccordo togliendo il respiro per tutta la durata del film. Lo spettatore precipita nello stesso delirio di violenza in cui finisce Goda, un labirinto urbano senza regole se non quelle dettate dalla sopraffazione e dal sopruso. Se il protagonista cerca una pistola per capire il passato e se stesso, noi inevitabilmente seguiamo il suo martirio senza redenzione. Intorno e con lui si muovono figure sinistre, non-vivi che iniettano nel loro corpo una sostanza chiamata speed (un nome un perché) illudendosi di essere vivi mentre in realtà sono più morti che mai. La conferma della propria esistenza è il leitmotiv nascosto della pellicola: tentano di Essere i membri della banda giocando con la vita sul ciglio della metropolitana, e cerca in egual maniera di dire Sono anche Goda, ma per lui accade qualcosa che va al di là dell’ontologia: si trasforma, come sempre per Tsukamoto. Anzi, si identifica con l’arma come il James Woods di Videodrome (1983). Non è più in grado di decidere la propria vita o la propria morte, chi lo decide è la pistola.

Bullet Ballet: la danza delle pallottole, una danza macabra degna del poeta francese François Villon il quale mi suggerisce le parole giuste per concludere: “La pioggia ci ha lavati abbastanza/e il sole ci ha anneriti e seccati; […]/Mai un solo istante restiamo seduti;/ di qua e di là, come fa il vento soffiando/a suo agio, senza tregua siam sballottati”.
Gli impiccati del poeta francese si credono vivi come i personaggi di Tsukamoto; lasciamoli sognare, tanto al loro risveglio si troveranno in un incubo... o all’inferno.

6 commenti:

  1. Io devo ancora capirlo, ma di certo non lo odio.

    Piuttosto: Tarr. Ho iniziato a vedere i suoi film, sono partito dal suo primissimo lungometraggio: Family Nest. Poi proseguirò con gli altri e spero di riuscire a scriverci sopra qualcosa di intelligente. Comunque anche solo da questa opera prima che ho gradito mi pare ci siano potenzialità notevoli.

    Una domanda: ma Satantango l'hai visto? No perché 7 ore di film mi spaventano non poco! :O

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  2. a spizzichi e bocconi a suo tempo..gurdati werrkmeister.. poi dimmi come lo trovi

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  3. Spero di arrivarci, passo dopo passo. Sono un gran casinaro nella vita, ma in 'ste cose ho un ordine meticoloso!

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  4. non c'entra, ma mi storiguardando il cattivo tenente di ferrara..versione originale..viaggio all'inferno senza ritorno.

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  5. Lo vorrei tanto vedere, soprattutto da quando Herzog ha fatto il (non) remake, che tra l'altro non ho ancora visto con mia grande vergogna...

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