martedì 13 ottobre 2009

Beş Vakit - Times and Winds

In un paesino ai confini del mondo si intrecciano le storie di tre bambini e delle loro famiglie.

Film turco del 2006 scritto e diretto da Reha Erdem che fu presentato in quell’anno al Festival del Cinema di Roma dopo aver girato l’Europa riscuotendo non pochi consensi, soprattutto al Filmfestival di Mannheim dove gareggiò nella categoria best film.
Beş vakit in italiano significa “cinque volte”. Secondo l’Islam un musulmano deve eseguire le preghiere rituali (salāt) cinque volte al giorno: al mattino; a mezzogiorno; a metà pomeriggio; al tramonto; un’ora e mezza dopo il tramonto.
E difatti il film è suddiviso in cinque capitoletti che scandiscono il momento della preghiera. Tali capitoli però vengono presentati anticiclicamente: si parte dalla notte con un fantastico Campo Lunghissimo notturno del paesino sovrastato dalla luna, e si conclude con una panoramica dell’orizzonte albeggiante.
In questo salto mortale all’indietro che inciampa in avanti ci vengono presentate le vite bucoliche di un grumo d’abitazioni sparse fra il mare ed i monti. Ruvidi ritratti agresti di genitori che trattano i figli come bestie, e le bestie come figli. Sospese nel tempo (e nel vento) queste famiglie vivono, o forse non-vivono, la loro esistenza che si ripete inesorabile: il terreno da coltivare, la nascita di un vitello, la costruzione di un muro. I bambini sono gli unici esseri che ancora non riescono a capire, o magari capiscono tutto: uno vuole uccidere ad ogni costo il padre Imam: gli svuota le pillole, apre la finestra di notte per far entrare aria fredda, fantastica di lanciarlo giù da una roccia. Un altro è innamorato della maestra al punto di non lavarsi più il dito sporco del sangue della donna.
Vivono di illusioni (ma chi non lo fa?), sono ancorati alla madre terra, fanno parte di essa immersi nell’erba, avvinghiati alle rocce. Ma nel finale sono costretti ad alzarsi in piedi, ad abbandonare il terreno che gli ha accuditi. Quando il primo bambino lascia la mano del padre morente, le lacrime bagneranno il suo viso di fronte ad un’alba infinitamente meravigliosa, e quando il secondo vedrà suo padre spiare la bella maestra dalla finestra capirà che l’amore è fatto soprattutto di sogni inafferrabili. I bambini sono cresciuti, ora non possono più restare sdraiati.
La bellezza estetica di Beş Vakit è sconvolgente. Ogni singola inqaudratura è di una profondità difficile da riscontrare in altre pellicole. Sia che la mdp riprenda di spalle i bambini vaganti nelle viuzze pietrose, o che immortali tramonti infuocati, il film non perde la sua cifra poetica che ha un valore aggiunto nella semplicità con cui cattura le cose: il bambino in ombra rannicchiato dentro sé che attende il sole sorgere (foto sotto) è di una delicatezza senza pari.
Purtroppo il difetto principe è che a cotanta bellezza visiva non corrisponde un racconto adeguato. Manca l’elemento imprescindibile della solida narrazione poiché le varie storie sono estremamente fragili, non incidono nello spettatore, sopratutto nella prima ora dove accade ben poco. Senza un impianto estetico di questo calibro il film sarebbe debole, ma per fortuna c’è.

Il Mereghetti sentenzia: ”... Un film che a volte rischia di affidarsi un po’ troppo al non detto e all'immagine ad effetto.” Concordo. Ma assicuro che l’immagine ad effetto fa il suo stupendo dovere.

4 commenti:

  1. Hai un palato fino, cinematograficamente parlando. Potrebbe piacerti.

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  2. Ciao, vorrei guardare questo film da tanto tempo ma non lo ehm trovo. Tu lo hai visto al cinema?

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